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Libro
Bianco: i sogni chiusi nel cassetto |
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Qualcuno ha detto che il Libro Bianco
sul welfare, presentato alle parti sociali a metà febbraio, è un libro
dei sogni. Mi sembra una definizione impropria e troppo generosa. Si
tratta infatti, a mio parere, di un documento che non apporta nulla
di nuovo sul piano analitico, ampiamente scopiazzato da studi e
documenti pre-esistenti e per altro mai citati, spesso contraddittorio
nel passaggio tra l’analisi e le proposte di policy, e soprattutto contraddittorio
con le altre politiche economiche e del lavoro messe in atto dal
governo e dallo stesso ministero responsabile del Libro Bianco. Così, a livello analitico si prende
atto che i giovani faticano a uscire da casa anche quando hanno un
lavoro perché non si sentono sufficientemente garantiti rispetto alla
continuità del lavoro e del reddito. Ma poi da un lato, con la legge
sul mercato del lavoro (questa sì con una sua compatta coerenza) si
accentua la precarietà dei contratti di lavoro, dall’altro con
la legge Finanziaria si offre loro, se si sposano, la possibilità di
acquistare una abitazione; ovvero li si invita a investire tutte le loro
risorse, incerte, presenti e future nell’acquisto della casa,
irrigidendone progetti di vita e di mobilità (nonostante il documento,
sorprendentemente, consideri l’acquisto dell’abitazione un incentivo
alla mobilità). Daniela
Del Boca ha giustamente notato che almeno in questo modo si rendono
i giovani un po’ meno dipendenti dai genitori per l’acquisto della
casa. Ma è l’opportunità di un incentivo all’acquisto
dell’abitazione da parte dei giovani che trovo discutibile (e certo
non prioritaria), rispetto a una popolazione giovanile il cui orizzonte
di sicurezza nel breve e medio termine è sempre più incerto e da cui
ci si aspetta disponibilità alla mobilità territoriale. Tra l’altro,
se lo scopo è quello di aumentare le nascite, è improbabile che
coppie indebitate, sia pure con mutui agevolati, e con prospettive
economiche incerte, rischino di mettere al mondo un figlio, o un figlio
in più. Analoga e più drammatica
contraddizione si trova tra la dettagliata analisi del sovraccarico
di lavoro e responsabilità che grava sulle famiglie allargate anche
alla parentela e la proposta di sviluppare il diritto ai servizi
universali mediante l’incremento e l’attivazione delle reti di
solidarietà e di mutuo aiuto familiare – ovvero mediante il ricorso a
quella risorsa che è già così ampiamente attivata da essere, appunto
sotto crescente stress, anche perché ne sta fortemente mutando la
composizione demografica. Anche la questione della conciliazione tra
responsabilità familiari e lavorative, oltre a essere definita come
riguardante esclusivamente le donne, trova un forte limite nella
attesa di una perdurante e rafforzata disponibilità al lavoro di cura,
ancorché scambiato entro le reti di solidarietà informali e talvolta
sostenuto da qualche voucher. La parte del leone a livello
propositivo, per altro, è lasciata alle detrazioni fiscali – che si
tratti di sostenere il costo dei figli o di contrastare la povertà.
Questo strumento, come è argomentato da Boeri
e Perotti, è meno universalistico di quanto appaia e soprattutto
non tocca la condizione di chi è più povero, magari perché ha fatto
un figlio in più. È proprio sul terreno delle politiche
di contrasto alla povertà che questo documento appare non già un libro
dei sogni, ma la conferma di un arretramento. Dopo aver
affermato, senza alcuna prova, che la sperimentazione del Rmi ha
dimostrato che è impossibile individuare per legge i poveri a livello
nazionale(come faranno negli altri paesi a individuare per legge non già
i poveri, ma i criteri che danno diritto al sostegno economico e
sociale?), rimanda il tutto alle Regioni, ovvero sancisce il modello di cuius
regio eius et religio nelle politiche assistenziali che ha
caratterizzato fino a oggi la situazione italiana. Contestualmente torna
all’antico con la proposta di distinguere tra poveri meritevoli di
sostegno – i casi più problematici, di esclusione estrema – e
invece i poveri che dovrebbero lavorare. Ci sarebbe da
rallegrarsi se ciò implicasse che a questi ultimi verrà garantito un lavoro
a salario decente. Dato che, ovviamente, non è così, la domanda
riguarda il tipo di sostegno che riceveranno queste persone – e i loro
figli – nell’attesa del lavoro: una detrazione fiscale da un
imponibile che non c’è? Mi sembra che si sia fatta una voluta
confusione tra la necessità di differenziare molto le misure di
accompagnamento sociale a seconda delle caratteristiche biografiche di
chi ha bisogno di sostegno e l’opportunità di distinguere tra chi,
essendo povero, può ricevere sostegno economico e chi no. Ma tutte queste osservazioni perdono
peso di fronte a quella più importante, a livello pratico. Nonostante
la dichiarazione che investire nel sociale è necessario, oltre che
giusto, e che occorre aumentare considerevolmente le risorse
destinate alle politiche sociali, nella Legge Finanziaria 2003 esse sono
state diminuite. E in questi giorni il Governo ha annunciato un
ulteriore decurtamento dell’ordine del 40 per cento per ripianare un
buco del bilancio Inps. Ciò significherà che i servizi locali dovranno
venire chiusi, o fatti pagare a tariffe altissime, con buona pace del
sostegno alle famiglie e del contrasto alla povertà. |
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