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ROMA, 28 GENNAIO 2003 - Oltre 3 milioni di persone vivono in una
situazione di povertà assoluta. E la maggior parte di loro si trova nel
mezzogiorno dove la disoccupazione è maggiore. Il dato allarmante è
contenuto nel Rapporto sullo stato sociale dell'Inpdap secondo il quale il
nostro sistema assistenziale risulta «inidoneo a fronteggiare in modo
adeguato situazioni di povertà e di effettivo bisogno».
Nel 2001 la spesa per prestazioni di protezione sociale, al netto
delle liquidazioni, - è scritto nell'indagine - rappresenta per le
istituzioni pubbliche una quota pari al 22% del pil«. Secondo l'istituto,
considerando le imposte prelevate a vario titolo sulle prestazioni, pari a
circa il 2% del prodotto interno lordo, l'effettiva incidenza della spesa
sociale sul bilancio dello Stato risulta sensibilmente ridotta.
Le prestazioni di natura assistenziale rappresentano una quota del
pil pari a meno del 4% che risulta inferiore a quella della maggior parte
dei paesi europei.
L'Inpdap sottolinea come gli aiuti alle famiglie e i sussidi per la
disoccupazione sono riservati a chi è entrato nel mondo del lavoro
regolare. Quanto alle "timide" misure introdotte di recente
contro la povertà a carattere universalistico - sottolinea l'istituto -
per l'assegno ai nuclei familiari con almeno 3 figli le somme spese sono
state contenute (280 mln di euro), mentre per il reddito minimo
d'inserimento si non è usciti da una fase di sperimentazione.
Il fenomeno della povertà in Italia assume, dunque, dimensioni
allarmanti. Nel 2001, infatti, - è scritto sempre nel Rapporto Inpdap -
il 12% delle famiglie italiane non raggiungeva la soglia della poverta »relativa«
fissata, cioè, in corrispondenza di un paniere di consumo per il cui
acquisto occorrono circa 815 euro al mese per una famiglia di due persone.
Nel sud la percentuale sale al 24% contro il 5% del nord e l'8,4% del
centro. In condizioni di povertà assoluta (il riferimento è ad un
paniere di beni di consumo del valore di circa 560 euro mensili sempre per
una famiglia con due persone) viveva il 4,2% delle famiglie,
corrispondenti a oltre 3 milioni di persone.
Significativo è che nel meridione - sottolinea ancora la ricerca -
ci si ammala meno eppure la mortalità connesse al sistema circolatorio è
superiore a quella di altre regioni, mentre quella per tumori si avvicina
ai valori del centro nord.
Queste diversità territoriali sono state parzialmente corrette dal
servizio sanitario nazionale che ha teso a riequilibrare nel tempo la
spesa sanitaria regionale. Ciò - ammonisce l'Inpdap - va valutato in
relazione al federalismo e a un più esteso ricorso a forme di concorrenza
che, se mal disegnati, »potrebbero comportare problemi in relazione
all'impegno redistributivo a favore delle regioni più povere".
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