www.segnalo.it - Saggi ed articoli
HOME PAGE |
Il segreto professionale nell'ordinamento degli psicologi italiani
Sebbene l'argomento del segreto professionale riguardi tutti gli esercenti le professioni sanitarie, per una migliore comprensione del problema appare opportuno circoscriverlo, in questa sede, alla sola categoria degli Psicologi.
Dal punto di vista soggettivo, è tenuto a rispettare il segreto professionale lo psico-logo che sia iscritto all'Albo. Tale vincolo è espressamente previsto dall'art. 622 del codice penale, e ulteriormente specificato nell'art. 200 c.p.p. Anche il Codice Deontologico degli psicologi italiani si occupa del problema negli artt. 11 e 12. Il mancato rispetto del segreto professionale comporta sanzioni sia di natura penale che disciplinare.
Dal punto di vista oggettivo il segreto copre tutto quanto viene conosciuto dallo psicologo in ragione della propria prestazione professionale, nonché tutta la documentazio-ne o materiale di qualunque genere attinente al rapporto professionale con il cliente. L'ampiezza di questa definizione non può lasciare dubbi sull'importanza che ricopre l'istituto del segreto professionale nel nostro Ordinamento. Le disposizioni che lo riguarda-no, infatti, sono poste a garanzia della libertà del professionista: del dovere di questo alla prestazione della propria opera cui è strettamente complementare l'obbligo di riservatezza erga omnes .
E' ora opportuno
occuparsi del modo in cui si atteggia nella sua concretezza il se-greto
professionale e i comportamenti che deve tenere lo psicologo per non incorrere
nelle ricordate sanzioni.
Non è superfluo ribadire che l'obbligo di riservatezza sui contenuti degli
incontri pro-fessionali, nonché sulla documentazione ad essi attinente, deve
essere tenuto nei confronti di tutti i consociati indistinatamente, siano essi
privati cittadini, autorità pubbliche o colle-ghi. Questa regola fondamentale
trova, però, alcune eccezioni.
·
La prima eccezione è costituita
dall'Autorizzazione al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute
e la vita sessuale , rilasciata dal Garante per la protezione dei dati personali
(privacy).
L'Autorizzazione è rilasciata esplicitamente anche agli psicologi, al fine di
consentire l'adempimento, o di esigere l'adempimento, degli obblighi
professionali di diagnosi e cura, di prevenzione e tutela della salute mentale.
Il trattamento può riguardare anche la compi-lazione di cartelle cliniche, di
certificati e altri documenti di tipo sanitario, ovvero di altri documenti
relativi alla gestione amministrativa la cui utilizzazione sia necessaria per i
fini suindicati . L'autorizzazione è rilasciata senza che ne debba essere fatta
richiesta agli psicologi iscritti all'Albo .
La ratio di tale Autorizzazione appare chiara, consentire allo psicologo di
poter svol-gere il proprio lavoro utilizzando e rivelando nella sola misura
strettamente indispensabile alla corretta prestazione professionale alcune
informazioni sullo stato di salute fisico e psi-chico del proprio cliente che,
altrimenti, sarebbero protette sia dalla legge 675/96 (c.d. legge sulla privacy)
che dal più ampio dovere di segreto professionale.
L'autorizzazione in parola copre, inoltre, anche l'attività dello psicologo che
si svolga in forme organizzate e coinvolge, pertanto, anche terze persone non
legate alla deontolo-gia professionale. Difatti, qualora il perseguimento degli
obblighi professionali dello psicologo richieda l'espletamento di compiti di
organizzazione e di gestione amministrativa, il Garante richie-de che i
responsabili e gli incaricati a tali compiti osservino le stesse regole di
segretezza alle quali sono sottoposti i destinatari diretti dell'Autorizzazione
.
· La seconda eccezione al generale dovere di mantenere il segreto su quanto ap-preso per doveri professionali è costituita dall'obbligo di referto e, più in generale, dai rap-porti tra lo psicologo e l'Autorità giudiziaria.
o
2A. L'obbligo di referto è
stabilito dall'art. 365 del codice penale e coinvolge tutti co-loro che,
nell'esercizio della propria prestazione professionale, trattino casi che
possano in concreto presentare i caratteri di delitto perseguibile d'ufficio,
secondo la valutazione del sanitario medesimo. Anche il Codice Deontologico si
occupa del problema. L'art. 13, nel caso di obbligo di referto o di denuncia,
afferma che lo psicologo deve limitare allo stretta-mente indispensabile, la
rivelazione di quanto appreso in ragione del proprio rapporto pro-fessionale.
Ma l'obbligo di referto, in realtà, non si riferisce al rapporto diretto tra
psicologo e cliente, bensì alle informazioni che durante la prestazione
professionale il cliente possa fornire in merito alla commissione di un delitto.
Lo stesso art. 365 del codice penale, infatti nel secondo comma, ammette una
im-portante deroga posta proprio a tutela del segreto professionale e a garanzia
di quella li-bertà del professionista di cui si è già accennato. Difatti, il
referto può essere omesso in tutti quei casi in cui la sua proposizione
esporrebbe la persona assistita ad un procedimen-to penale. Ciò significa che lo
psicologo ha l'obbligo di referto quando il proprio cliente rife-risce gli
elementi che integrano l'ipotesi di un delitto perseguibile d'ufficio senza che
ne possa rimanere coinvolto, in caso contrario lo psicologo può (ed anzi deve)
omettere il re-ferto.
o
2B. Più in generale e
tralasciando i numerosi aspetti tecnico-giuridici della questio-ne, lo psicologo
trova le garanzie del segreto professionale nei confronti dell'attività
dell'Autorità giudiziaria, nel combinato disposto degli articoli 200 e 256 del
codice di proce-dura penale. Queste norme affermano che non possono essere
obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in virtù della propria
professione, tra gli altri, gli esercenti di una profes-sione sanitaria (tranne
nei casi in cui c'è l'obbligo di referto). Tale garanzia è estesa anche agli
atti, ai documenti e ad ogni altra cosa esistente, conservati presso il
professionista in ragione della sua professione. La conseguenza pratica di tali
norme è che il segreto profes-sionale può essere opposto in sede di deposizione
a tutti i livelli in cui si trovi il procedi-mento penale ed, inoltre,
l'autorità giudiziaria non può ordinare il sequestro dei documenti attinenti
l'attività professionale.
La tutela del professionista, però, non è assoluta e deve essere equilibrata con
l'esigenza di ricerca della verità portata dall'Autorità giudiziaria.
Pertanto, in tutti quei casi in cui viene opposto il segreto professionale,
l'Autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare che le dichiarazioni rese siano
infondate, dispone gli accertamenti necessari e, se risulta l'infondatezza, può
ordinare la deposizione o il seque-stro .
Da quanto fin qui emerso, la tutela del segreto professionale e quindi dello stesso professionista, appare sufficientemente radicata nel nostro ordinamento. Infatti le eccezio-ni indicate si giustificano in un sistema di maggiore efficacia sia dell'attività professionale stessa che della necessità dell'Autorità giudiziaria di ricercare e scoprire la verità nei casi ad essa sottoposti.
La dimostrazione che il mantenimento del segreto professionale è la regola e quelle indicate le sole eccezioni, consta nella limitazione che esso pone alla normativa sulla tra-sparenza degli atti amministrativi introdotta dalla L. 241/90.
Si pone, difatti, il caso che l'attività strettamente professionale di uno psicologo di-pendente di un pubblica amministrazione, confluisca in un atto amministrativo (es. cartella clinica) soggetto astrattamente al diritto di accesso. Il segreto professionale rientra a pieno titolo tra i casi che, previsti dall'art. 24 comma 1 L. 241/90, precludono l'esercizio del dirit-to di accesso agli atti e ai documenti amministrativi, pertanto, detta attività non potrà es-sere sottoposta a comunicazione o diffusione da parte di nessuno .
Articolo scritto
dal dott. "Andrea Falzone"
Consulente legale del Consiglio Nazionale dell'Ordine
degli Psicologi