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DEMOCRATICI
DI SINISTRA DIREZIONE NAZIONALE DIPARTIMENTO
WELFARE DIPARTIMENTO
ASSOCIAZIONISMO E TERZO SETTORE GRUPPO PARLAMENTARE DS – L’ULIVO |
Welfare Note, Idee, Comunicazioni,
Informazioni, Proposte
|
S
P E C I A L E S A N I
T À
A cura dei Dipartimenti Welfare e Terzo Settore della Direzione DS
Campagna
DS sulla sanità “Due giorni per il diritto alla
salute”.…………………pag. 1
La
salute prima di tutto – Livia Turco
…………………………………………….pag.
2
Per
una sanità più moderna e umana che si prenda cura del cittadino - Sintesi
delle proposte
DS………………………………………………………………………...pag.
6
Manifesto dell’Ulivo sulla sanità.………………………………………………….pag.
8
Dalla
sanità alla salute – documento dei DS sulla prevenzione
………………….pag. 13
La spesa sanitaria nazionale
………………………………………………………pag. 22
Difendere
e innovare il servizio sanitario nazionale – Silvio Natoli….…………..pag.
24
Professioni
sanitarie protagoniste nella nuova sanità – Augusto Battaglia ……....pag.
28
Bilancio
sull’epidemia di Sars – Grazia Labate
………………………………….pag. 30
Seminario
dei DS sulla prevenzione – Intervento di Monica Bettoni ……………pag.
33
Testo
Unificato pdl 2166 – Istituzione di un fondo per il sostegno delle persone
non
autosufficienti.
.………………………………………………………………pag.
36
La
salute è di tutti. Difendiamo e miglioriamo il Servizio Sanitario nazionale
che la destra vuole tagliare
LA DESTRA ABBANDONA I MALATI
Con
devoluzione, ticket, tasse e tagli alle prestazioni i governi di destra stanno
di fatto cancellando il servizio pubblico universale e solidale e costringono
i cittadini a pagarsi di tasca loro le prestazioni di cui hanno bisogno.
Gli Italiani
hanno speso, direttamente, nel
2002 circa 23 milioni di euro, pari a 45.000 miliardi di lire che per l’85%
sono serviti per prestazioni in teoria offerte dal Servizio Sanitario
Nazionale.
La destra che governa il paese ha infatti un
obiettivo strategico: trasformare diritti e bisogni collettivi in consumi
individuali da sottomettere alle regole del mercato.
I risultati concreti
che vuole raggiungere sono due: riportare sotto il controllo del mercato
privato tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produzione di alti
profitti e contemporaneamente, e
di conseguenza, spingere gli strati più abbienti della popolazione a chiedere
la possibilità di uscire dal Servizio Sanitario Nazionale e quindi dalla
contribuzione obbligatoria .
RIMARREBBE
UN SERVIZIO SANITARIO
“POVERO”
PER I POVERI
Per contrastare questa operazione, che la destra
porta avanti dobbiamo difendere i
risultati di rilievo sul versante della crescita della salute del paese
prodotti dal nostro Servizio
Sanitario Nazionale ma, allo stesso tempo, ragionare sugli elementi di
innovazione da apportare a questo sistema perché sia realmente equo e
solidale e sappia rispondere
al bisogno di salute collettivo e individuale che oggi il paese esprime
in modo più maturo e consapevole.
Per i DS la salute è
un bene di tutti i cittadini che
deve essere promosso e garantito dalla responsabilità pubblica, quindi dalle
istituzioni e da tutta la comunità.
Contro
l’abbandono, le lunghe attese, l’incapacità di riconoscere e trattare le
urgenze ci
impegnamo affinché il
servizio sanitario nazionale:
·
Attraverso
il medico di famiglia indirizzi
accompagni e prenda in carico il paziente, nei diversi momenti del suo iter
diagnostico e terapeutico affinché ognuno non debba cercare da solo soluzioni
ai propri problemi;
·
generalizzi
i Centri Unici di Prenotazione telefonica, integrati a livello regionale per
ridurre i tempi di attesa garantendo al tempo stesso la massima trasparenza
delle liste;
individui
le prestazioni urgenti (immediate!) e le prestazioni
urgenti differibili (entro 3 giorni) su indicazione del medico
proponente definendo anche i tempi massimi di attesa
relativi alle prestazioni non urgenti, con il rimborso delle spese
sostenute dai cittadini per prestazioni non eseguibili nei tempi massimi.
I DS
ritengono inoltre non più rinviabile un
fondo nazionale per le persone non
autosufficienti, per garantire agli anziani e ai soggetti più deboli e
alle loro famiglie il diritto a tutte le forme di assistenza residenziale e
domiciliare utili e appropriate.
La salute: un diritto che deve essere garantito!
La
salute prima di tutto
Livia
Turco
La salute
prima di tutto: è questa una delle espressioni che appartiene al senso comune
dei cittadini e che sentiamo ribadire in tutti i luoghi in cui li incontriamo.
E’ una domanda nuova quella che sta maturando
tra le persone: la cura del proprio corpo, la ricerca del benessere e lo star
bene. Anche se tante volte questa domanda trova una risposta artificiosa e
sbagliata
deviata dai sentieri del consumismo, contiene una nuova consapevolezza
di sé ed al contempo rivela un’inquietudine sul presente e sul futuro. Il
cittadino
percepisce che questo bene prezioso - la salute - troppe volte è
affidato alle sole risorse e responsabilità individuali e teme di trovarsi
solo di fronte agli imprevisti o alle durezze della vita in caso di malattia. Non a caso, nei
tanti sondaggi che interpellano i cittadini su ciò che sta loro a cuore, la
salute è sempre ai primi posti. Forte è stata, infatti, la
reazione dei cittadini contro i ticket, le tasse, i tagli dei servizi imposti
dai governi di centro-destra. La salute costituisce, dunque, nella percezione
e nella cultura diffusa delle persone, un valore fondamentale ed un bene
prezioso. La promozione del diritto alla salute come bene pubblico e condiviso
costituisce pertanto uno dei tasselli fondamentali per affermare la dignità
umana e la cittadinanza sociale. Per questo, per l’Ulivo e per la sinistra,
la salute costituisce una priorità dell’agenda politica. La responsabilità
che avvertiamo è quella di promuovere la salute come bene pubblico e, dunque,
di difendere ed innovare il Servizio Sanitario pubblico universalistico e
solidale. È quella di difendere fermamente ed applicare la riforma 833/78 e
229/2000. Lo facciamo sulla base dei risultati. Quelli conseguiti dai governi
di centro-sinistra che hanno visto aumentare le risorse per la sanità
pubblica invertendo la pesante tendenza alla sottostima del fabbisogno del
Fondo Sanitario Nazionale; qualificare la rete dei servizi e delle prestazioni
ed investire sulle risorse umane. Quelli ottenuti dai governi regionali del
centro-sinistra che sono riusciti a coniugare la sostenibilità finanziaria
con il miglioramento della qualità dei servizi praticando con molta
determinazione un progetto e una politica sanitaria e della salute: la rete
integrata dei servizi sul territorio; la riconversione della rete e della
spesa ospedaliera; il coinvolgimento degli enti locali e la promozione della
partecipazione sociale; la programmazione degli interventi e l’applicazione
scrupolosa del principio della appropriatezza; il coinvolgimento e la
valorizzazione dei medici e delle professioni sanitarie; l’integrazione tra
pubblico e privato. Questa politica, attraverso i risultati che consegue, sta
dimostrando di essere più efficace rispetto a quella perseguita dalle regioni
del centro-destra, a partire dalla Lombardia che ha puntato sull’incremento
dell’offerta, sull’accreditamento indiscriminato ai privati, sui soli
punti di eccellenza abbandonando la rete dei servizi territoriali; sulla
separazione tra ospedali e territorio; sul centralismo regionale. La politica
del governo Berlusconi, se ha dovuto accantonare il suo progetto di ritorno
alle mutue private, se nel discorso pubblico parla di sistema sanitario
pubblico, universalistico, solidale, nei fatti sta praticando una politica di
“abbandono” del sistema sanitario pubblico. Lo fa attraverso la riduzione
delle risorse del Fondo Sanitario Nazionale. Lo fa, attraverso la
disattenzione per i problemi reali del personale sanitario, a partire dalle
risorse negate per la copertura delle piante organiche, per il rinnovo
contrattuale, per i contratti di formazione lavoro dei 30 mila medici
specializzandi che operano senza tutele e diritti nei nostri ospedali,
mettendo in discussione attraverso il DDL 2613 l’autonomia professionale ed
i livelli di responsabilità delle professioni infermieristiche,
riabilitative, tecniche e della prevenzione. Inoltre, con la riforma degli
istituti di cura a carattere scientifico, avvia la trasformazione in
Fondazioni di diritto privato, strutture strategiche che esprimono in molti
casi l’eccellenza nella cura e nella ricerca biomedica.
Per promuovere il diritto alla salute, per vincere la
battaglia a sostegno di un sistema sanitario pubblico, universalistico e
solidale non è sufficiente difendere ed applicare la legge 833/78 e il DL
229/2000. Sentiamo la necessità di arricchire lo scenario contenuto in quelle
basilari riforme mettendo fortemente al centro la sfida dell’efficacia
del sistema. Ed allora non basta la competizione e la discussione sui
modelli di politica sanitaria. Anche perché, in qualche modo, i risultati ci
dicono che quella discussione vede in vantaggio il modello che ha puntato
sulla sanità pubblica. Ciò che dobbiamo mettere al centro del discorso
pubblico e della battaglia politica è la questione dell’appropriatezza
delle prestazioni come base per costruire un nuovo e forte consenso dei
cittadini al Servizio Sanitario Nazionale e come base per vincere la sfida
della sostenibilità finanziaria del sistema. Ed allora una battaglia di
sinistra per il diritto alla salute deve mettere al centro i bisogni di salute
dei cittadini; saper formulare obiettivi di salute; pretendere di valutare i
risultati ottenuti. Promuovere, insomma, una cultura degli “obiettivi”
e dei “risultati”.
Dunque, per difendere bisogna andare avanti ed esplorare nuove strade. Mi permetto di annotare quali di queste strade, presenti nel dibattito in corso, mi convincono maggiormente. Innanzi tutto, la considerazione della salute non come costo, ma come ricchezza, come forma di capitale. Sulla quale, pertanto, bisogna investire. Sono necessari programmi di investimento nella salute. Che non significano solo risorse in più per il funzionamento del sistema sanitario e per il finanziamento della spesa sanitaria, ma investimenti per modernizzare e riconvertire, anche attraverso le tecnologie, la rete dei presidi e dei servizi; per migliorare e rendere più competitivo il capitale umano; per investire in tutti gli ambiti che producono salute. Ciò comporta che si operi praticamente quel passaggio teorico già elaborato - dalla sanità alla salute - nella consapevolezza che la relazione tra salute ed assistenza sanitaria vede quest’ultima incidere solo per una parte perché molto contano i fattori genetici, le situazioni ambientali ed i comportamenti individuali. Ed allora i programmi per la salute devono, non solo adeguare le risorse del Fondo Sanitario Nazionale, ma mobilitare risorse all’interno di programmi intersettoriali che incidano sull’ambiente, sulle infrastrutture, sulle politiche energetiche e di sviluppo nei luoghi di lavoro, nella qualità urbana, nei livelli di istruzione. Devono incidere sui “determinanti” della salute: istruzione, ambienti di vita e di lavoro, stili di vita. Ciò consente di rilanciare un altro fondamentale obiettivo: superare le diseguaglianze che oggi esistono in termini di salute e di speranza di vita. Come mettono in evidenza molti studi epidemiologici la qualità del lavoro e dell’abitazione, il livello di istruzione, la rete familiare sociale in cui sono inserite le persone sono decisive per prevenire la malattia, per curarsi in modo appropriato e per vivere più a lungo. Come scrive Nerina Dirindin “….chi è meno abbiente – in relazione ai servizi sanitari – ha minore capacità di scelta, minore probabilità di seguire i percorsi più adeguati, minore capacità di adesione ai programmi in cui sono coinvolti, maggiore difficoltà di interazione con gli operatori sanitari”.
Siamo soliti parlare della salute come “diritto”.
Ma perché esso sia effettivo, insieme ai programmi di politica sanitaria e
della salute, dobbiamo rivolgerci ai cittadini e dire loro che la salute è
anche un “dovere”. Vale a dire che la vera salute si può raggiungere solo
con uno sforzo intelligente da parte di ciascuno. Il maggior potenziale per il
miglioramento della salute sta in quello che le persone fanno o non fanno in
prima persona per la loro salute individuale e collettiva. Qui va apportata
una radicale correzione, perché, come scrive Victor Fucs nel suo bel libro
“Chi vivrà”, “... per
prevenire i malanni, o superarli, di regola gli uomini preferiscono affidarsi
ai medici che affrontare il più arduo compito di vivere in modo assennato”.
Ed allora il cittadino deve diventare più consapevole ed anche più
competente. E tale competenza gli può essere fornita dal sistema sanitario e
scolastico, dal medico, dagli operatori sanitari, dagli enti locali, da un
sistema di partecipazione sul territorio in cui è fondamentale il ruolo
dell’associazione e della cittadinanza sociale. Se la salute non è solo il
sistema sanitario tuttavia esso resta centrale. E deve migliorare per
rispondere alle domande delle persone. Il miglioramento che ritengo più
preziose ed anche ambizioso (e non più rinviabile) è operare il passaggio da
un sistema sanitario che cura le persone, ad un sistema sanitario che si
prende cura della persona. Ciò significa mettere al centro, in modo
concreto, la dignità e la globalità della persona. Il prendersi cura
ridefinisce la missione del Servizio Sanitario Nazionale perché sposta
l’attenzione dai “trattamenti” che devono essere erogati al paziente,
alla presa in carico della globalità della persona. D’altra parte il
cittadino sente fortemente il bisogno di un accesso semplice, rapido ed
affidabile ad un servizio, ad un medico o operatore sanitario disponibile
tutti i giorni e tutte le ore. Non solo; vorrebbe essere curato da qualcuno
che conosca lui e il suo stato di salute, a cui importi il suo benessere, che
si assuma la relativa responsabilità e sia disponibile, se necessario, a
“guidarlo” nel labirinto degli esami e delle cure specialistiche. Ciò
presuppone che il medico e l’operatore sanitario sia dotato non solo di un
sapere tecnico e specialistico, ma anche di una componente relazionale.
Acquisendo così l’orgoglio di una professionalità che non si limita a
curare e a guarire una parte del corpo malato, ma partecipa a promuovere il
benessere della persona nella sua globalità. Presuppone altresì una
ridefinizione dei servizi e delle prestazioni volti ad un’organizzazione a
rete nella quale sia possibile portare a fattore comune i vantaggi delle
specializzazioni e dell’innovazione tecnologica con quelli
dell’integrazione sociale sanitaria e delle reti solidaristiche. Questo
indirizzo del servizio Sanitario Nazionale è reso urgente dai nuovi bisogni
di salute. Ad esempio, l’invecchiamento della popolazione comporta il
bisogno di lungo-assistenza e la relativa individuazione di percorsi
assistenziali integrati; lo sviluppo di malattie cronico-degenerative richiede
la capacità di convivere con la malattia. Prendersi cura delle persone
significa allora rendere efficace la presa in carico e garantire la continuità
assistenziale. Va allora formulato il diritto alla continuità
assistenziale e vanno definite le modalità con cui esso si organizza.
Pertanto, il governo della Sanità deve investire molto sulla professionalità
e sulla formazione dei medici e degli operatori sanitari e sociali. Ricerca
scientifica e formazione permanente sono obiettivi inscindibili affinché il
sistema migliori i contesti formativi, organizzativi e di offerta delle
prestazioni sanitarie in tutti i livelli in cui esso si articola: università,
istituti di ricerca biomedica, ospedali, territorio, comportamento dei singoli
professionisti. L’esclusività, insieme al governo clinico ed alla libera
professione intramuraria,accompagnanti da un sistema di incentivi per il
raggiungimento di obiettivi di efficacia e di efficienza nel fornire le
prestazione, nonché sulla soddisfazione del paziente, sono la concezione
moderna che offre a tutte le migliori energie professionali ed umane il
contesto in cui esse possano liberare e produrre competenza ed applicazione
delle conoscenze.
Per una sanità più moderna e umana che si prenda
cura del cittadino
Sintesi
delle proposte DS
Aumentare le risorse per la sanità per finanziare lo sviluppo dei servizi territoriali e della medicina preventiva e riabilitativa, il rinnovo e il potenziamento delle attrezzature diagnostiche, l’ammodernamento dei reparti di degenza e l’umanizzazione delle strutture.
Contrastare
ogni ipotesi di privatizzazione e di devoluzione
e sviluppare un federalismo solidale che abbia come obiettivo il superamento
delle diseguaglianze nell’esercizio del diritto alla salute.
Sostenere
e rilanciare il diritto alla salute nel mezzogiorno con
un fondo straordinario, aggiuntivo al fondo sanitario nazionale, finalizzato
al raggiungimento degli
standard qualitativi e quantitativi delle
regioni del centro-nord.
Promuovere
una nuova stagione di politiche per la prevenzione
le uniche che possono efficacemente ridurre l’incidenza delle grandi
patologie (tumori, malattie cardiovascolari, malattie infettive etc.) che
colpiscono milioni di persone. Ad oggi la spesa per la prevenzione è al di
sotto del 5% del fondo sanitario nazionale e
va rapidamente portata
almeno al 10 %.
Mettere
la sanità in rete per far camminare le informazioni e non i cittadini
Per ridurre i tempi di attesa e garantire accesso ai servizi proponiamo un grande programma di informatizzazione del sistema sanitario che a partire dagli studi dei medici di famiglia colleghi tutte le strutture e i presidi. Questo permetterà :
1. la prenotazione diretta dallo studio del medico di famiglia delle prime visite e delle prestazioni successive (accertamenti diagnostici, visite di controllo etc);
2. la comunicazione, da parte del medico proponente, ai presidi della ASL di quali sono le prestazioni urgenti (immediate!) e le prestazioni urgenti differibili (entro 3 giorni);
3.
la velocizzazione della consegna delle cartelle cliniche e dei referti
relativi agli esami strumentali che, salvo esami particolarmente complessi,
deve avvenire entro 3 giorni lavorativi dalla data di effettuazione;
4.
l’utilizzo di bancomat o carte di credito per il pagamento di ticket o quote
di compartecipazione;
5.
l’adozione in tempi brevi di una carta informatizzata
per tutti i cittadini, che contenga la storia clinica e fornisca a tutti i
servizi del sistema sanitario informazioni preziose per un intervento
appropriato ed efficace.
Prima
tappa di questo processo deve essere la
generalizzazione di Centri Unici di Prenotazione telefonica, integrati a
livello regionale, per impedire, da subito, che il cittadino cerchi a caso fra
i presidi sanitari quello che può rispondere tempestivamente ai suoi bisogni.
Garantire
ad ogni cittadino un “tutore” della salute che lo indirizzi e lo
accompagni in tutte le fasi della diagnosi e della terapia
Il
medico di famiglia, affiancato da altre figure professionali, deve garantire
al cittadino una più agevole comunicazione con i servizi specialistici e le
strutture di ricovero.
In
questo modo verrà garantita a tutti la continuità della assistenza
e della appropriatezza dei percorsi di cura e riabilitazione e il
cittadino avrà la certezza di avere al suo fianco chi promuove e tutela la
sua salute.
Questo
comporta una nuova convenzione con i medici di famiglia che ne preveda i nuovi
compiti e gli adeguati supporti.
Rilanciare
il progetto Veronesi per umanizzare l’assistenza ospedaliera e per un
ospedale senza dolore
Riconvertendo
la rete ospedaliera e rinnovandola,
con lo standard obbligatorio di camere a 2 letti
con servizi, rispondendo
a bisogni drammatici come le carenze di strutture per la radioterapia e
in genere per il trattamento tempestivo dei tumori, costruendo i reparti per
la degenza riabilitativa, individuando spazi per la presenza dei familiari e,
soprattutto, realizzando i centri per le cure palliative per i malati
terminali e per la terapia antidolore.
Attivare un fondo
nazionale sulla non autosufficienza, per garantire agli anziani e ai
soggetti più deboli e alle loro famiglie il diritto
a tutte le forme appropriate e necessarie di assistenza residenziale e
domiciliare.
Sostenere la ricerca biomedica
pubblica con nuovi finanziamenti, con l’obiettivo di intervenire più
efficacemente sulle grandi patologie dei nostri tempi e sulle malattie rare.
Manifesto dell’Ulivo sulla sanità
LA SALUTE DI TUTTI E PER TUTTI
Un paese è
forte quando i suoi cittadini stanno bene e si sentono sicuri. La salute
condiziona le opportunità di ciascuno di noi, le nostre possibilità di
crescere, comunicare, partecipare alla vita civile e sociale.
La salute è un
diritto fondamentale della persona, garantito dalla Costituzione italiana.
Tutelare questo diritto è la missione del Servizio sanitario nazionale, uno
dei pilastri del sistema di
garanzie civili e sociali della nostra Repubblica.
Il Servizio sanitario nazionale si basa su tre
principi fondamentali:
Universalità di accesso e
libertà di scelta del luogo di cura.
Chiunque
può utilizzare il SSN senza essere discriminato in base alle reddito o per
ragioni di età, culturali, sociali o razziali.
Globalità della copertura per
tutti i servizi e le prestazioni necessarie e appropriate.
Il
SSN si fa carico della prevenzione, della cura e della riabilitazione;
offrendo prestazioni di qualità, necessarie ed efficaci; tutelando non solo
la salute delle persone ma anche quella dell’ambiente in cui viviamo.
Finanziamento pubblico
attraverso la fiscalità generale.
Tutti
contribuiscono alla spesa del SSN, secondo le proprie possibilità
economiche
e non in ragione del proprio stato di salute.
IL VALORE DEL SERVIZIO SANITARIO
NAZIONALE
A quasi venticinque anni dalla
nascita del SSN, questi principi restano validi e condivisi dalla stragrande
maggioranza dei cittadini. La loro attuazione ha
contribuito a determinare il netto miglioramento della salute degli
Italiani, dimostrato anche da prestigiose e indipendenti valutazioni
internazionali.
L’organizzazione
e il funzionamento del SSN vanno tuttavia sempre più adeguati ai nuovi
bisogni dei cittadini e vanno adattati alle diverse situazioni locali. La
riforma costituzionale approvata dall’Ulivo e confermata con un referendum
popolare, riafferma l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini e
riconosce nel Federalismo solidale e cooperativo lo strumento più adeguato a
sviluppare le migliori soluzioni organizzative a tutela del diritto alla
salute, rispettando e valorizzando meglio le peculiarità e le diverse
esigenze locali.
Il
Disegno di legge del Governo di ulteriore modifica costituzionale
(la cosiddetta devolution) mette invece in discussione i principi fondamentali del
Ssn ed espone il sistema delle garanzie ad una pericolosa disgregazione con il
rischio di aumentare le disuguaglianze tra le Regioni e le disparità di
trattamento tra cittadini.
Parallelamente,
le velleitarie ancorché incoerenti proposte annunciate in questi mesi dal
ministro della salute rivelano ormai sempre più il loro vero, unico
obiettivo: privatizzare il patrimonio di risorse, competenze professionali e
fiducia che il Ssn ha accumulato in questi decenni.
IL NOSTRO IMPEGNO
L’Ulivo riafferma la necessità
di salvaguardare i principi fondamentali del Ssn e si impegna per la loro
piena attuazione in un sistema sanitario moderno, efficace e sostenibile. In
particolare:
1
quanto
all’universalità, a realizzare le condizioni
perché tutti possano fruire delle cure di cui hanno bisogno nel luogo in cui
vivono e lavorano, garantendo in ogni
caso l’assistenza sanitaria indipendentemente dalla regione in cui, anche
occasionalmente, ci si trovi;
2
quanto
alla globalità, a operare perché siano assicurati le
prestazioni e i servizi sanitari e sociosanitari efficaci ed appropriati in
base alle necessità di ciascuno; i
livelli essenziali di assistenza introdotti dalla riforma dell’Ulivo non
sono i livelli “minimi” delle garanzie (come vorrebbe la maggioranza
governativa in carica e come è scritto nel Ddl sulla Devolution), ma
devono costituire lo strumento con cui sono resi espliciti e realmente
fruibili i diritti di cittadinanza di cui tutti devono godere;
3
quanto
al finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale,
a battersi perché esso sia mantenuto e valorizzato quale strumento di
solidarietà. L’Ulivo chiederà che
nella prossima Finanziaria alla sanità venga riservata una quota del Pil pari
al 7%, non solo per adeguare il finanziamento al resto d’Europa ma
soprattutto per garantire così l’effettiva attuazione dei Livelli
essenziali di assistenza, compresa l’integrazione sociosanitaria. Appare
indispensabile per assicurare prestazioni efficaci e di qualità un più
deciso investimento nei servizi territoriali.
L’Ulivo si opporrà con fermezza al tentativo di ridimensionare il
meccanismo di finanziamento pubblico con l’introduzione di fondi
assicurativi sostitutivi, calibrati
sui redditi medio-alti e sostenuti da generose deduzioni fiscali. Le
esperienze internazionali dimostrano che la tassazione generale, e non le
assicurazioni private, costituisce il modo più equo e più economico per
finanziare le costose risorse necessarie al buon funzionamento di un moderno
sistema sanitario. I sistemi assicurativi selezionano i pazienti in base al
rischio sanitario, escludono dalla copertura le malattie croniche e
degenerative; ignorano la prevenzione, e moltiplicano la burocrazia e i costi
amministrativi. Nessuna assicurazione privata è in grado di garantire, con un
premio di circa 1300 euro all’anno, dal medico di famiglia alle vaccinazioni
per i bambini, dall’intervento di pronto soccorso al trapianto;
4
quanto
alla natura pubblica del Ssn, a
contrastare la strategia di privatizzazione del Governo, riaffermando
l’esclusività della funzione pubblica di tutela e la necessità della
natura pubblica delle aziende sanitarie; nonché, nel quadro di un sistema
misto pubblico-privato di produzione dei servizi, l’impegno alla
collaborazione con tutti i soggetti privati, lucrativi e non lucrativi,
accreditati secondo criteri di
qualità, omogenei a livello nazionale;
5
quanto
alla perequazione finanziaria tra le Regioni,
a calibrarne in prospettiva la concreta efficacia, tenendo conto sia
delle differenze nelle loro capacità fiscali, (così da non far dipendere le
prestazioni e i servizi sanitari essenziali dalla ricchezza delle regioni in
cui le persone vivono) sia delle differenze nelle loro caratteristiche
demografiche e sociali, e quindi anche nei loro bisogni di assistenza
sanitaria. Il federalismo fiscale non
va interpretato come un federalismo d’abbandono, a questo fine, raffermata
la necessità di salvaguardare la quota capitaria ponderata, L’Ulivo
propone la costituzione di un fondo speciale,
distinto e separato dal Fondo sanitario nazionale, destinato a
finanziare l’adeguamento e la qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno,
come peraltro prevede l’art. 119 della
Costituzione.
SSN E FEDERALISMO
L’art. 117
della Costituzione assegna alle Regioni la competenza legislativa nel campo
della tutela della salute, riservando allo Stato, oltre che la determinazione
dei Livelli essenziali e uniformi di assistenza, il compito di stabilire i
principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale.
L’Ulivo considera
irrinunciabili:
1)
la programmazione nazionale e
regionale per la determinazione degli obiettivi di salute e la programmazione
regionale dei servizi sanitari, a livello sia ospedaliero, sia territoriale;
2)
il ruolo delle autonomie locali
nella programmazione nazionale e regionale, nonché la loro partecipazione
all’approvazione, attuazione e verifica della programmazione locale;
3)
l’aziendalizzazione come
modello organizzativo e gestionale da sviluppare e ulteriormente perfezionare:
a)
definendo gli obblighi di responsabilità e trasparenza,
nonché gli impegni di carattere etico, dei direttori delle aziende,
quale necessario contrappeso rispetto alla
autonomia gestionale loro riconosciuta;
b)
assicurando l’efficace coinvolgimento, in
funzione di garanzia della qualità della salute, dei comuni e delle
associazioni dei cittadini;
c)
promuovendo il ruolo degli organismi di consultazione e concertazione interni
alla azienda;
d)
valorizzando pienamente la
dirigenza medica nel governo clinico dell’azienda;
4)
la realizzazione dei distretti
sanitari e sociosanitari, al fine di assicurare un efficace diritto di accesso
alle prestazioni sanitarie, la continuità terapeutica e assistenziale, il
collegamento ospedale-territorio e l’effettività dell’integrazione
sociosanitaria;
5)
il collegamento virtuoso tra la
ricerca e la didattica con
l’assistenza, secondo il metodo dell’intesa tra organi universitari e
Servizi sanitari regionali e coinvolgendo maggiormente, in termini di
didattica, ma altresì di ricerca, le tante risorse delle aziende sanitarie ,
delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico;
6)
la riaffermazione del rapporto
di pubblico impiego per il personale del Ssn, con la conseguente esclusività
dello stesso anche per quanto riguarda la dirigenza sanitaria;
7)
la formazione continua (nelle
due forme dell’aggiornamento professionale e della formazione permanente)
di tutto il personale
del SSN.
ATTUAZIONE DEL Dlvo 229
Lo stallo e
le difficoltà in cui versa il Servizio sanitario nazionale, stanno
determinando un netto peggioramento della qualità dei servizi e una
progressiva riduzione delle opportunità offerte ai cittadini. In buona parte
queste difficoltà sono determinate dalla manifesta incapacità di governo del
sistema da parte del Ministro della salute e delle Giunte regionali del
centrodestra nonché dalla mancata attuazione della riforma sanitaria.
L’Ulivo considera indifferibile e urgente il varo
di alcuni provvedimenti attuativi relativi a:
a)
accreditamento dei
professionisti e delle strutture pubbliche e private;
b)
riorganizzazione del Ministero
della salute con la valorizazione e il potenziamento delle funzioni di
coordinamento, monitoraggio e vigilanza;
c)
effettiva e completa
applicazione dei Lea;
d)
revisione delle tariffe e
introduzione del finanziamento aziendale per funzioni assistenziali;
e)
avvio dei fondi integrativi del
Ssn;
f)
definizione del Testo unico
delle leggi in materia sanitaria;
COLLABORAZIONE ISTITUZIONALE
La
salvaguardia dei principi fondamentali
del SSN ed il loro continuo adattamento alla rapida evoluzione della sanità,
costituiscono l’oggetto dell’impegno congiunto del governo centrale e dei
governi regionali. La forma di Stato
che emerge dal nuovo titolo V della Costituzione richiede lo sviluppo di
strumenti efficaci di collaborazione orizzontale tra i governi regionali e
verticale fra questi ed il governo centrale. Anche su questo punto il progetto
di cosiddetta devolution tace. Occorre invece definire al più
presto, come prevede l’art. 120 della Costituzione, le procedure che
garantiscano effettivamente la tutela dei livelli essenziali di assistenza.
L’Ulivo propone che si proceda rapidamente a
costituire un organismo permanente di confronto e coordinamento della
produzione legislativa nazionale e regionale e di concertazione dell’azione
amministrativa dei governi regionali. Per quanto riguarda la sanità, tale
organismo dovrebbe prioritariamente garantire il coordinamento delle funzioni
sovraregionali (ad es. organizzazione dei trapianti, attività di ricerca dei
centri di eccellenza) e regolare gli accordi interregionali per la mobilità
sanitaria.
Roma,
22 aprile 2002
La mutata composizione demografica della popolazione, i cambiamenti della
composizione sociale collegati alle trasformazioni dei lavori e del sistema
produttivo, delineano uno scenario di nuovi bisogni di salute, che
occorre conoscere e governare.
Considerati l
La prevenzione, specie quella primaria, è compito di ogni livello dello
Stato; deve coinvolgere ogni settore dell’intervento pubblico e contenere
l’azione del settore privato in un quadro di regole ben precise, sia pure in
un ambito di ampia concertazione.
I determinanti della salute, cui il sistema sanitario nel suo complesso dà
il suo contributo ma non in modo esauriente, risiedono e dipendono dalle
politiche produttive e dello sviluppo, dalle scelte economiche di fondo, da
quelle energetiche e del sistema dei trasporti, dell’organizzazione sociale
complessiva, dall’integrazione sociale e culturale.
Nel quadro composto tanto dalla situazione nosografica che dai
determinanti di salute, la risposta deve essere globale e finalizzata
all’obiettivo salute. Questa non è solo un’istanza politica ma è ben
delineata come esigenza tecnica dall’OMS nella strategia Salute 21 e dalla
Commissione Europea nella Strategia per la sanità pubblica 2002-2006.
Taluni indicatori ci dicono, d
La loro utilità ci mostra come sia importante integrare e affinare la
ricerca epidemiologica in un sistema sanitario che va orientandosi verso il
federalismo solidale e verso competenze statuite a livello di pari dignità
fra Stato, Regioni, Comuni e altri enti territoriali; come siano
necessarie analisi puntuali delle dinamiche territoriali e conseguenti
valutazioni sulle performance e sugli obiettivi dei sistemi sanitari
decentrati.
Fra questi indicatori, le numerose Morti Evitabili ed i molti Anni
di Vita Potenziale Perduti, i molti fenomeni morbosi non necessariamente
mortali, una gran parte dei quali dovuti alla mancanza di prevenzione, sia
primaria che secondaria.
I settori di popolazione più gravemente colpiti da tali fenomeni
negativi di iper-mortalità sono i giovani tra 16 e 24 anni, i lavoratori per
diverse cause, le donne, ma esistono esempi anche negli anziani. Si tratta per
i primi di suicidi, morti del sabato sera, morti per overdose, disturbi
del comportamento alimentare; per i secondi di infortuni ed alcune persistenti
malattie professionali, tumori (per le donne, del seno) ; infine per gli
anziani di tumori del colon-retto, broncopolmoniti.
La "Mortalità Evitabile" presenta attualmente un livello,
seppur decrescente e variabile tra regione e regione, ma ancora troppo alto.
L
Per la diagnosi e la terapia precoce (che nel
In riferimento alle morti causate da ritardi nella prevenzione primaria
esiste una polarizzazione geografica del fenomeno legata alla popolazione
maschile delle regioni del Nord. Ciò sembra in larga misura determinato dalle
morti causate da tumore e legate all
In riferimento alle morti causate da ritardi nella diagnosi precoce e
nelle terapie, il dato maggiormente critico è quello femminile, specie al
Nord; per la mortalità evitabile con adeguati interventi di igiene e
assistenza i valori più preoccupanti si registrano nel Meridione e sempre in
relazione alla realtà femminile.
LA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI VITA E DI
LAVORO:
UNA SCELTA DA RILANCIARE
La prevenzione è una scelta obbligata sotto il profilo etico, ma anche
sotto quello economico in quanto i servizi sanitari comportano
costi elevatissimi destinati ad aumentare per l’invecchiamento della
popolazione e per l’utilizzo di tecnologie diagnostiche e terapeutiche
sempre più raffinate e costose.
L’andamento nel tempo delle risorse finanziarie impegnate nei
paesi economicamente avanzati per supportare i Servizi Sanitari, e
dall’altro, l’andamento degli indicatori che definiscono il livello di
salute delle popolazioni da cui i Servizi Sanitari stessi sono utilizzati,
evidenziano in modo univoco in tutte le realtà, tre fenomeni significativi:
- i costi per i servizi sanitari mostrano di crescere in modo
apparentemente inarrestabile negli anni;
- la salute, dopo un iniziale incremento quasi proporzionale a quello dei
costi, pare migliorare sempre meno, sebbene l’impegno finanziario sia sempre
più consistente;
- ai giorni nostri, il grado di divaricazione tra costi per i servizi
sanitari e salute prodotta assume dimensioni inaccettabili e tali da
spingere a parlare di “ crisi” dell’efficacia dei sistemi sanitari.
Il nostro partito è pienamente consapevole che, nell’ambito della
prevenzione, la priorità assoluta sia rappresentata dalla adozione di scelte
politiche che si collochino a monte della politica sanitaria e che favoriscano
il mantenimento dello stato di salute dei cittadini, con l’obiettivo non
solo di aumentare gli anni di vita ma soprattutto di dare una buona vita agli
anni.
Infatti nel mondo i principali fattori di rischio per la salute umana sono
oggi rappresentati dalla povertà e dall’esclusione socio economica, subito
seguiti dal fumo di sigaretta, dalla scarsa attività fisica e
dall’inquinamento ambientale. Gli ultimi tre fattori sono importantissimi
soprattutto nei paesi occidentali, come l’Italia, con forte
industrializzazione e diffuso benessere economico.
La tutela della salute dei cittadini passa quindi prioritariamente
attraverso scelte non solo di politica sanitaria, ma anche e soprattutto di
politica della occupazione e dello sviluppo industriale, della tutela
ambientale, della istruzione, di un nuovo modello di welfare.
Pertanto gli interventi più efficaci per tutelare la salute dei cittadini
non possono coinvolgere esclusivamente il servizio sanitario nazionale, che
pure deve fornire il proprio determinante contributo, ma interessare in
maniera sempre più attiva altre istituzioni, (Comuni, Province,
Regioni, ARPA), le forze sociali (organizzazioni Sindacali e imprenditoriali),
le associazioni del volontariato e dei cittadini.
Una moderna cultura della tutela della salute passa quindi anche
attraverso il coinvolgimento non solo degli operatori sanitari, ma anche e
soprattutto di altre professionalità, quali ad esempio gli architetti, gli
ingegneri, gli economisti, i giornalisti, i sociologi, gli architetti.
Obiettivi principali di una moderna società industriale che si prefigga
lo scopo di mantenere lo stato di
salute dei propri cittadini sono, quindi, quelli di mitigare gli effetti della
pressione ambientale sull’organismo umano e quelli di promuovere stili di
vita sani attraverso interventi di educazione alla salute ma anche tramite
l’adozione di provvedimenti cogenti che talvolta interferiscono pesantemente
con abitudini di vita consolidate (ad esempio limitazioni del traffico). È
opportuno ricordare come, per l’affermazione di stili di vita più sani, sia
importante un’adeguata informazione sanitaria, che nasce dall’educazione
alla salute, ma anche la condivisione sociale del modello di comportamento
proposto, per la quale è appunto indispensabile la collaborazione con gli
Enti locali e le forze sociali.
È importante
sottolineare anche il ruolo della prevenzione secondaria cioè della
diffusione della diagnosi precoce dei tumori.
È opinione
comune di gran parte dei
ricercatori che gli andamenti che si osservano dagli inizi degli anni novanta
di una diminuzione di mortalità
per molte cause tumorali ( es. mammella, colon retto, collo dell’utero)
siano da attribuirsi alla diffusione della diagnosi precoce di tali patologie.
In questo quadro i programmi di screening organizzato
rappresentano, anche dal punto di vista politico, un importante fattore di
sviluppo. Intendiamo per programma di screening l’invito attivo della
popolazione bersaglio a sottoporsi a un test di screening compiutamente
validato. L’importanza politica di
tali programmi sta, prima di tutto, nel
fatto che attraverso di essi si riesce a raggiungere una quota di persone che
altrimenti attraverso i normali canali del nostro sistema sanitario
risulterebbe, nei fatti, esclusa. Dunque viene assicurato un principio di
equità più avanzato: non la teorica possibilità per tutti di sottoporsi a
un test ma l’effettiva equità delle prestazioni effettuate. Tali programmi
si sono sviluppati in Italia all’inizio su base volontaristica
poi da metà degli anni novanta sono diventati programmi coordinati a
livelli regionale in diverse
Regioni Italiane (Emilia Romagna, Piemonte, Val D’Aosta, Basilicata,
Toscana, Umbria, Abruzzo, Veneto).
In queste regioni sono attivi programmi di screening
mammografico per il carcinoma mammario , e del pap test per la cervice
uterina. In Toscana è attivo su base regionale anche un programma per la
Prevenzione del carcinoma colorettale.
In Friuli solo per la cervice Uterina.
Questi programmi sono stati riconosciuti e
incentivati dalla conferenza stato regioni nel 2001 e sono compresi
nei Livelli Essenziali di Assistenza.
Sul piano generale, i piani sanitari nazionali varati con i governi di
centrosinistra hanno fatto tesoro dei precedenti
assunti, ponendosi l
Sono state compiute, anche se poi non completamente realizzate, scelte
radicali e innovative: la promozione della salute, la partecipazione dei
cittadini, un raccordo con tutte le altre attività dei restanti comparti
della società, i cui effetti dovrebbero essere osservati attraverso la valutazione
d’impatto sulla salute.
Da questo punto di vista il PSN 2002-2004, presentato parzialmente e con
grande ritardo dall’attuale Ministro Sirchia, è del tutto inadeguato
rispetto alla complessità della problematica ed alla necessità di risposte
non settoriali. Esso si presenta assai debole per tutta una serie di
motivazioni interne alla sua struttura attuale.
È per lo più generico ed approssimato, ma discrepante, perché in
alcuni punti eccede in particolari minimali, ( ad es. fissando addirittura
normative contrattuali, come nel caso degli IRCCS o facendo citazioni di nomi
di ricercatori, come nel caso dei campi elettromagnetici),
mentre si dedicano poche righe ad altri fondamentali
settori.
Inaccettabile il minimo spazio dedicato alla sicurezza sul lavoro,
inappropriato fin dal titolo, "medicina del lavoro".
Si tratta principalmente di un piano di tipo ingegneristico-manageriale,
preoccupato più della gestione che degli "effetti sulla salute",
anche se questo concetto viene richiamato più volte ma assai poco trasformato
in azioni.
Gli obiettivi definiti strategici considerano la prevenzione solo per gli
aspetti comportamentali del fumo, della nutrizione e dell’attività fisica,
ma non ci si interroga minimamente sul perché di certi comportamenti. Viene
introdotto il tema della comunicazione istituzionale, ma sembra venga intesa
come marketing (“vendere” il prodotto la salute). Anche qui come
altrove (come nel caso della ricerca biomedica, per la quale il Governo ha
praticamente azzerato i fondi) c’è una discrepanza tra il dire e il fare.
Si auspicano interventi di privati, non sempre ben identificati, senza capire
bene come, perché e con quali fini. Si coglie però il tentativo di svendere
o privatizzare, talora maldestramente, talora in modo confuso.
Nella parte dedicata alla Promozione della salute sono omessi interi pezzi
annunciati (“vivere a lungo” e “vivere bene”) e non si sa cosa si dirà;
in definitiva ci si occupa solo di malattie in modo sciatto,
discorsivo, senza reali obiettivi e favorendo la creazione di nuove strutture,
magari privatistiche.
Il capitolo dedicato all’ambiente, è piatto, sbilanciato ed impreciso;
manca un discorso generale su una “politica ambientale” e tutto è visto
in una logica settoriale, senza chiari obiettivi. Altrettanto superficiale la
parte dedicata all
Il giudizio infine deve essere sospeso, perché non si capisce se ci
saranno altre parti e quali, mancando questo Piano di risorse, obiettivi
correlati, sistemi di valutazione. Quali gli indicatori, la valutazione
di impatto sanitario-ambientale, su cosa misureremo il raggiungimento degli
obiettivi?
PER UN MODERNO MONDO DEL LAVORO
Nonostante che gli indicatori generali di salute
pongano l
Sono le piccole e medie imprese artigiane quelle dove
i dati sulla sicurezza sono più negativi.
In linea con le osservazioni conclusive elaborate al
Senato dalla indagine conoscitiva della Commissione Smuraglia, fondate sul
binomio "cultura della prevenzione" e "cultura
della legalità", i
governi di centrosinistra, a partire dal documento d
A tale proposito si è detto e si è operato affinché
la pubblica amministrazione coordinasse le proprie componenti per offrire
orientamenti condivisi nella valutazione e gestione dei rischi e in efficaci
modalità di sanità pubblica; si è lavorato
ad un atto di indirizzo e coordinamento - tra ispettorati del lavoro,
ASL e INAIL - per un programma di azione nazionale per la prevenzione degli
infortuni e la tutela della salute nei luoghi di lavoro che
potesse coinvolgere a pieno titolo anche i rappresentanti per la
sicurezza dei lavoratori; per il rilancio dei dipartimenti di prevenzione
delle ASL; per disporre di servizi
e risorse di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro adeguati; e ancora
ci si è impegnati per ricondurre ad unità e coerenza il sistema normativo;
potenziare la vigilanza; sviluppare in
proposito le relazioni tra le parti sociali; garantire una migliore
formazione, informazione e ricerca e adeguati sostegni e incentivi per le
aziende che volessero migliorare le condizioni
della loro sicurezza.
Oggi questo lavoro rischia di andare disperso come
dimostra l
Le nostre proposte oggi partono da alcune
considerazioni di fondo:
L
In una società moderna, una organizzazione e un ambiente di lavoro sani e
sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell
In effetti, le relazioni tra salute nel luogo di lavoro e competitività
sono più complesse della semplice questione dei costi legati al rispetto
delle norme.
La "non qualità" del lavoro si traduce – oltreché in drammi
umani – in una perdita di capacità produttiva per l
Una nuova e diversa responsabilità sociale delle imprese può tradursi,
dunque. non solo in riduzione dei costi umani e sociali legati agli infortuni
sul lavoro ma in benefici sulle prestazioni e sulla competitività.
Il mondo del lavoro è in profonda trasformazione. Questa trasformazione
non nasconde una realtà tuttora presente, che mostra tassi di incidenza di
infortuni sul lavoro particolarmente elevati in taluni settori (ad es. l
Accanto a questi problemi "storici" si pongono problemi nuovi,
legati ad esempio all
Problemi nuovi legati alla trasformazione delle forme di occupazione
come, in particolare l
La più ampia presenza delle donne nel mondo del lavoro introduce
poi una nuova dimensione nel campo della salute e della sicurezza sul luogo di
lavoro, legata alla specificità e alle differenze biologiche. Un campo di
conoscenza e di acquisizioni epidemiologiche e scientifiche, questo,
ancora rimasto colpevolmente inesplorato.
Pur tenendo conto della mutata situazione
istituzionale e politica occorre difendere e rilanciare quella impostazione,
operando su tre livelli, interventi normativi, interventi
di facilitazione, interventi di vigilanza.
Sul primo:
raccordo con la legislazione europea, attuazione
definitiva della 626, responsabilizzazione e consolidamento delle nuove figure
della prevenzione e degli RSL, riordino e rafforzamento dei Dipartimenti nelle
regioni, riordino degli istituti e organismi centrali, speciali tutele per le
vittime del lavoro e per gli esposti colpiti da patologie di lavoro, specifici
interventi per i settori più a rischio, integrazione tra prevenzione all
Sul secondo:
incentivi alle imprese (specie piccole e artigianali)
che si impegnano sulla sicurezza e per l
Sul terzo:
rafforzamento di strumenti e servizi operativi con
adeguate risorse, definizione puntuale delle competenze dei diversi servizi
ispettivi, attivazione di tutti gli strumenti di coordinamento già possibili
in tali interventi (anche al fine dell
E
LA SICUREZZA DEL LAVORO
1) IN OGNI COMUNE IL PIANO INTEGRATO
DI SALUTE
Sul piano istituzionale ed organizzativo riteniamo, come DS, che gli
obiettivi di rilancio della prevenzione possano essere conseguiti solo
attraverso l’attivazione di “piani
integrati per la salute” che vedano la partecipazione dei soggetti sopra
ricordati (Aziende UU.SS.LL, Comuni, Provincie, Quartieri, ARPA, OO.SS.,
organizzazioni imprenditoriali, Terzo settore, volontariato, associazioni di
cittadini). Nell’ambito dei piani integrati di cui sopra è necessario che
vengano definiti e condivisi con chiarezza gli obiettivi da conseguire ed il
ruolo dei singoli soggetti che vi partecipano in modo da realizzare forti
momenti di integrazione nella programmazione delle attività di tutti i
soggetti interessati.
- I Dipartimenti di prevenzione delle Aziende UU.SS.LL. devono
fornire un contributo rilevante nella individuazione dei bisogni di salute
della popolazione e nella messa a punto dei programmi d’intervento, anche in
considerazione delle professionalità in essi presenti nel campo della
epidemiologia, della tossicologia occupazionale ed ambientale, della
comunicazione del rischio. Essi saranno inoltre chiamati ad effettuare
direttamente interventi nei settori di propria competenza attinenti la tutela
della salute dei cittadini (profilassi delle malattie infettive, prevenzione
nei luoghi di lavoro, sanità pubblica veterinaria, tutela igienico sanitaria
di alimenti e nutrizione, medicina dello sport, educazione alla salute,
comunicazione del rischio). L’adesione a questo modello integrato di lavoro
eliminerà, per i Dipartimenti della prevenzione, il rischio, diffusamente
presente in questi anni, di una eccessiva autoreferenzialità. In sintesi
quindi spettano ai Dipartimenti di Prevenzione, nell’ambito dei piani
integrati di salute, le funzioni di coordinamento organizzativo, gestionali e
operative.
- I Comuni e le Provincie sono attori fondamentali dei piani
integrati di salute in quanto devono garantire il collegamento stretto tra le
necessità dei cittadini, dei quali sono naturali interpreti, e le scelte
programmatiche attuate con la competenza tecnica dei Dipartimenti e degli
altri soggetti coinvolti. I Comuni sono quindi chiamati ad esercitare un forte
ruolo di indirizzo politico sulle scelte che devono essere attuate
nell’ambito dei piani integrati di salute ed a svolgere interventi diretti
nelle materie di propria competenza (tutela ambientale, piani regolatori,
traffico, campagne di educazione per la promozione di stili di vita sani,
piani di insediamenti produttivi). Ai Comuni spetta anche un ruolo rilevante
nel promuovere verifiche in ordine alla efficacia degli interventi effettuati.
- Le ARPA devono fornire, nell’ambito di una forte integrazione
operativa con i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende UU.SS.LL. e con gli
Enti Locali, il quadro relativo alla situazione di inquinamento ambientale con
la individuazione delle priorità sulle quali si ritiene opportuno
intervenire. Le scelte operative verranno poi effettuate da tutti i soggetti
partecipanti al piano che in tal modo possono disporre del dati relativi
all’inquinamento ambientale (ARPA) dei possibili effetti sulla salute dei
cittadini (Dipartimenti di Prevenzione) e della fattibilità dei possibili
progetti d’intervento (Enti Locali).
- Le organizzazioni dei cittadini e le forze del volontariato
possono fornire importanti contributi per la individuazione dei bisogni e per
la realizzazione degli interventi. Le forze sociali e le organizzazioni dei
cittadini devono, ovviamente, essere sistematicamente coinvolte per garantire
la massima condivisione possibile degli obiettivi da conseguire e degli
interventi proposti per il loro conseguimento.
- Per la riuscita dei piani integrati di salute è necessaria una
preventiva definizione delle risorse messe in campo dai singoli partecipanti
che comprenderanno quelle rese disponibili dalle Aziende UU.SS.LL. per la
Prevenzione, ma anche altre che istituzioni e forze sociali ritengano
opportuno impegnare per la tutela della salute dei cittadini.
- I piani integrati di salute dovranno ovviamente prevedere i tempi di
realizzazione e gli indicatori di processo e di risultato da adottare
successivamente per verificare, in maniera sistematica, il conseguimento degli
obiettivi prefissati.
2) IN OGNI REGIONE PROGRAMMI DI
SCREENING ONCOLOGICI
Le regioni dovranno predisporre tali programmi,
stanziando le relative risorse, fornendo alle aziende sanitarie i supporti
tecnologici e le professionalità al fine di garantire quello standard di
qualità indispensabile per rendere validi i risultati . È necessario
ribadire questa necessità perché le tendenze attuali vanno in altra
direzione e si sta diffondendo l’ipotesi che tali programmi siano sanità di
serie ‘B’.
3) RILANCIARE LE POLITICHE DI
SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
Le priorità della nostra proposta sono le seguenti:
- Riduzione quantificata degli infortuni e delle malattie professionali,
ponendosi cioè obiettivi precisi e correlati con la realtà epidemiologica,
anche tramite il rafforzamento della cultura della prevenzione nel mondo del
lavoro.
- Assunzione di un
- Migliorare la conoscenza dei rischi, educare nell
- Attuare un modello di prevenzione non burocratico ma di efficace
intervento verificato e verificabile, in cui i rappresentanti per la sicurezza
dei lavoratori siano percepiti come uno dei terminali insieme agli operatori
del Dipartimento di prevenzione delle ASL, nella prevenzione in azienda,
quale momento di nuovo e continuo sapere, di innovazione per l
A questo proposito una funzione positiva potranno svolgere anche le
sezioni del nostro partito, muovendosi nel tessuto produttivo del territorio
per conoscere ed entrare in relazione con le realtà più esposte a tali
rischi e promuovere iniziative politiche finalizzate.
La
spesa sanitaria nazionale
L’Accordo
Governo/Regioni dell’8 agosto 2001 ha definito il livello di finanziamento
della spesa sanitaria per il 2001 e per il successivo triennio 2002-2003-2004:
-
71.271 milioni di euro per il
2001
-
75.597 milioni di euro per il 2002, con un incremento del 6% rispetto al
2001
-
78.564 milioni di euro per il 2003, con un incremento del 3.9% rispetto
al 2002
-
81.275 milioni di euro per il 2004, con un incremento del 3,45% rispetto
al 2003.
L’Accordo inpegnava il Governo ad adottare, entro
il 30 novembre 2001, un provvedimento per la definizione dei Livelli
Essenziali di Assistenza, provvedimento adottato con DPCM 29 novembre 2001.
Governo e Regioni si impegnavano inoltre ad istituire
un “tavolo di monitoraggio e verifica sui livelli essenziali di assistenza
effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e
previsti” con lo scopo di verificare la effettiva congruità fra prestazioni
da garantire e risorse finanziarie messe a disposizione dal Servizio Sanitario
Nazionale. Il Tavolo è stato attivato, ma non conclude i propri lavori, anche
per evitare di certificare, di fatto, la sottostima del finanziamento rispetto
alle prestazioni da erogare.
Il disavanzo prodottosi per il 2001 è stato pari a
4.000 milioni di euro, certificato dal Tavolo
Tecnico Ministeri Economia e Sanità/Regioni.
Il disavanzo prodottosi nel 2002 ammonta a 3.800
milioni di euro, come dichiarato nella Relazione Generale sulla situazione
economica del Paese recentemente presentata al Parlamento.
Per il 2003, per il quale si è definito
l’incremento più basso degli ultimi anni, si prospetta una situazione
disastrosa a fronte di due incrementi di spesa certi ed al di fuori della
possibilità di interventi da parte delle Regioni: il doveroso rinnovo del
contratto di lavoro del personale dipendente dal SSN (che avrà un costo
stimabile attorno all’8,78% del monte-salari 2001, valutabile quindi in
oltre 2.500 milioni di euro) e l’assistenza sanitaria che dovrà essere
prestata agli immigrati regolarizzati dalla legge Bossi-Fini (che
corrispondono ad oltre 700.000 persone) per un onere presunto di 900 milioni
di euro. Si deve inoltre assumere che la spesa per beni e servizi segua
quantomeno l’andamento dei costi generali dell’economia, segnando
incrementi valutabili nell’ordine di 1.000 milioni.
Per effetto di questi soli fattori e assumendo di mantenere una
crescita “zero” per la spesa farmaceutica, anche per il 2003 si può
quindi conservativamente prevedere che il Servizio Sanitario Nazionale è
destinato a maturare per quest’anno un disavanzo di oltre 5.000 milioni di
euro.
A fronte di questa situazione le regioni che, per effetto della riforma costituzionale non possono più ricorrere a mutui per finanziare la spesa corrente, non possono neppure fare ricorso all’acquisizione di risorse proprie perché lo stesso Governo che propone la devolution ha deciso di congelare a tempo indeterminato la possibilità per le regioni di disporre delle addizionali.
La situazione finanziaria è ulteriormente aggravata dai comportamenti opportunistici del Governo che nega i trasferimenti di cassa dovuti a copertura del livello di finanziamento oggetto dell’Accordo dell’8 agosto 2001. L’entità dei crediti vantati dalle regioni nei confronti del governo centrale per effetto delle sue manovre sulla cassa ha raggiunto la cifra di 11.600 milioni di euro.
Sul versante degli investimenti sono di fatto
bloccati i finanziamenti riferiti al 2° e 3° triennio degli Accordi di
programma disposti ai sensi dell’art. 20 della Legge 67/1988, nonché quelli
relativi al programma aggiuntivo, già finanziato con la Legge
finanziaria del 2001.
Relativamente al programma di riqualificazione
dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani (art. 71 L.448/98), nel
corso del 2002 il Governo ne ha ridotto il finanziamento per una quota pari a
circa il 17% (210 milioni di euro)
Difendere
e innovare il servizio sanitario nazionale
Silvio
Natoli
aprile
2003
Stiamo
portando avanti, dall’avvento dei governi di centro destra a livello
regionale e nazionale, una forte iniziativa politica, come DS e come Ulivo,
per difendere il nostro servizio sanitario nazionale universale e solidale
contro ogni tentativo di stravolgerne missione, regole e strumenti.
Una battaglia necessaria perché la destra che
governa il paese ha un obiettivo strategico che prova a articolare sui singoli
temi e nei diversi settori dell’intervento pubblico e che si può riassumere
schematicamente nel tentativo costante di trasformare diritti e bisogni
collettivi in consumi individuali da reimmettere a pieno titolo nel mercato.
Per la prima volta dall’approvazione della legge
833 il ceto politico dominante
mette in discussione concretamente i principi della riforma sanitaria,
esce dalla tradizione solidaristica cattolica che ha informato, seppur
con mille contraddizioni, la politica dei governi a guida democristiana
e mostra le radici della sua cultura
paleo-capitalista ben lontana
anche da concezioni laiche e liberali.
I risultati che la destra vuole raggiungere
direttamente sono sostanzialmente due: riportare sotto il controllo del
mercato privato tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produzione
di alti profitti come le alte tecnologie e la diagnostica raffinata, la
chirurgia complessa, la ricerca biomedica applicata etc e
contemporaneamente, e di conseguenza, spingere gli strati più abbienti
della popolazione a chiedere la possibilità di uscire dal servizio sanitario
nazionale e quindi dalla contribuzione obbligatoria.
Gli strumenti utilizzati sono i più diversi,
coerenti fra loro solo nell’obiettivo strategico, quali: l’introduzione di
tickets, addizionali e tasse che insieme alla costante denuncia di un
disavanzo disastroso della sanità pubblica
dipingono il quadro di un sistema esoso e
sprecone; il blocco delle assunzioni e norme capestro per gli
approvvigionamenti dei beni necessari che paralizzano l’attività concreta
delle ASL favorendo lo spostamento delle prestazioni verso le strutture
private accreditate o verso il privato-privato; il progetto di trasformare gli
IRCCS in fondazioni di diritto privato cedendo al mercato i punti di
eccellenza e i luoghi dove si sviluppa gran parte della ricerca biomedica
pubblica del paese; la trasformazione di una giusta lotta agli elementi di
corruzione e di illegalità presenti nel sistema in un gran polverone
mediatico che nell’omologare tutti, i molti onesti e i disonesti, crea
allarme e incertezza nei cittadini e sconcerto nei medici che si sentono sotto
inchiesta per ogni prescrizione; e per concludere la legge sulla devoluzione
che di fatto cancella un servizio sanitario nazionale con eguali diritti per
tutti i cittadini.
Assicurazioni e mutue sostitutive possono apparire,
nel quadro di un sistema vicino alla paralisi funzionale e morale, l’unica
alternativa al pagamento di tasca propria delle prestazioni necessarie per
molti cittadini anche di medio reddito.
L’obiettivo è quasi raggiunto, di questo dobbiamo
essere più consapevoli, perché è coerente con il messaggio che la
propaganda berlusconiana ha ripetuto ossessivamente attraverso i media:
pubblico vuol dire inefficienza, spreco e corruzione,
il privato invece efficienza,
economicità e qualità.
Per contrastare questa operazione, tutt’altro che
banale, dobbiamo difendere i risultati di rilievo sul versante della
crescita della salute del paese prodotti dal nostro SSN ma, allo stesso tempo,
ragionare sugli elementi di innovazione da apportare a questo sistema perché
sia realmente equo e solidale e
sappia rispondere al bisogno di
salute collettivo e individuale che oggi il paese esprime in modo più maturo
e consapevole.
Tre questioni vanno affrontate sin da ora
coinvolgendo operatori e cittadini.
La prima riguardo l’accesso ai servizi e alle
prestazioni.
Oggi un
giovane di 20 anni e un’anziana di 85, una persona laureata e un analfabeta,
un cittadino sano e un malato cronico accedono, in molte realtà, ai servizi
sanitari nello stesso modo,
attraverso la stessa fila, con le stesse procedure.
Proporre analoghe modalità di accesso a persone
molto diverse non rappresenta la
concretizzazione di un principio egualitario, ma la sua negazione e importanti
ricerche dimostrano come i più ricchi, i più acculturati, i più giovani
usano meglio e di più il servizio pubblico mentre le fasce più deboli, anche
economicamente, ricorrono a servizi privati costosi e molto spesso
inappropriati.
Strumenti come la prenotazione di visite ed esami
diagnostici attraverso i medici di famiglia o attraverso il telefono
favoriscono in modo sostanziale l’accesso degli anziani e dei disabili, dei
malati cronici; allo stesso modo garantisce maggiore equità l’introduzione,
nei presidi sanitari, di percorsi riservati
per i portatori di patologie croniche
che necessitano di esami o visite periodiche ricorrenti.
Particolare rilevanza assume questa problematica
dell’accesso in tutte le prestazioni e i servizi di tipo socio-sanitario.
Si può tranquillamente affermare che le risorse
destinate oggi alla sanità pubblica, a prescindere da ogni valutazione sulla
loro attuale congruità, sarebbero drammaticamente insufficienti se anche una
parte modesta di cittadini in condizioni di
difficoltà pretendesse dal
servizio sanitario e dai servizi sociali il rispetto dei livelli essenziali di
assistenza e non tentasse di risolvere direttamente i propri problemi.
Un accesso sostenuto, una presa in carico, un ruolo
di “tutor” del medico di famiglia, una reale attivazione della medicina
territoriale e dei distretti, la generalizzazione dell’ADI e dell’ospedale
a domicilio, sono strumenti oggi non più rinviabili per rispondere ai bisogni
e inverare la natura pubblica e universale del SSN.
La seconda riguarda il rapporto
tra risposta alla domanda e
intervento sui determinanti della salute nel SSN.
La domanda di salute, o meglio di prestazioni, è
fortemente cresciuta per forza e consapevolezza negli ultimi anni.
Una domanda, spesso da decodificare,
intrisa di elementi spuri e da forti suggestioni
indotte da un mercato sempre più invadente, ha condizionato lo
sviluppo del nostro SSN che ha risposto modellandosi
su questa domanda, filtrandola, però, attraverso
priorità del tutto autoreferenziali.
Alla domanda di crescita del numero di alcune
prestazioni spesso le ASL hanno risposto aumentando la capacità produttiva di
altre, più “gradite” agli operatori.
Tutto ciò rischia di annacquare il concetto stesso
di servizio pubblico.
Infatti se è ovvio che alcune funzioni fondamentali
relative a interventi sulla collettività (prevenzione, educazione sanitaria,
tutela della salute nei luoghi di vita e di lavoro ecc.) proprio perché
attengono a un contesto non semplificabile in un rapporto fra venditori di una
prestazione individuale e il cliente-utente, sono d
Occorre produrre forti elementi di innovazione nel
funzionamento del servizio pubblico perché riscopra la sua vera missione di
promozione e tutela della salute a
partire dalla subordinazione dei conti economici
delle aziende sanitarie ai
risultati ottenuti in termini di miglioramento dello stato di salute della
popolazione di riferimento.
Uno slogan potrebbe essere un SSN che si impegna non
a moltiplicare le prestazioni ma a far crescere la salute.
Con questa affermazione siamo giunti alla terza
questione, la più importante, il tema della appropriatezza.
Se non vogliamo selezionare i cittadini in base al
censo, come ci propone quotidianamente la destra, in un sistema a risorse
definite non abbiamo altro strumento che selezionare le prestazioni sulla base
di criteri di efficacia e di appropriatezza.
La sfida di un sistema sanitario universale e
solidale sostenibile passa per un patto fra istituzioni, management,
professionisti, sindacati e rappresentanze dei cittadini sulla efficacia e
l’appropriatezza.
Non si superano le liste di attesa se non si
selezionano, anche temporalmente, le prestazioni da erogare in funzione di
criteri di urgenza e di appropriatezza; non si danno maggiori certezze a
operatori e cittadini se gli stessi professionisti non definiscono linee guida
e percorsi per la prevenzione, la
diagnosi, la terapia e la riabilitazione.
Non si tutela bene la salute dei cittadini se non si
articola l’offerta sanitaria sulla base di requisiti di qualità, efficacia
e appropriatezza superando logiche estranee e contraddittorie all’obiettivo
da raggiungere.
In sostanza se non si definisce una
rete, che operi per obiettivi di salute e alla quale il cittadino
supportato da un “tutor” acceda per ricevere, in tempi certi, ciò di cui
realmente ha bisogno.
Programmi, obiettivi di salute, percorsi,
appropriatezza necessitano, infine, di strumenti di valutazione e di
indicatori di qualità di cui oggi il sistema è sprovvisto, in gran parte del
paese.
L’individuazione condivisa da istituzioni,
professionisti e utenti di questi indicatori e l’introduzione di strumenti
per dare efficacia agli interventi
conseguenti, rappresentano l’ultimo passaggio per un profondo mutamento di
un SSN
che nel rispondere efficacemente a vecchi e nuovi bisogni esalti la sua
funzione universale e solidaristica.
Professioni sanitarie protagoniste nella nuova sanità
Augusto
Battaglia
giugno
2003
Nella passata
legislatura il Centrosinistra riuscì con le leggi 42 e 251 ad approvare una
profonda e radicale riforma delle professioni sanitarie. Furono leggi non
facili, che dovettero superare ostacoli e resistenze, ma che alla fine
sancirono con chiarezza per i circa cinquecentomila infermieri, terapisti,
tecnici sanitari e della prevenzione la formazione universitaria,
l’autonomia professionale, un diverso inquadramento fino alla dirigenza ed
alla docenza, nonchè maggiori responsabilità nell’organizzazione dei
servizi sanitari. Si portò così a compimento un lungo processo legislativo,
che trovava le sue ragioni non certo nell’intento di favorire questa o
quella professione, ma nella
urgenza di creare le condizioni per una sanità più qualificata, moderna e
vicina al cittadino. Tant’è che ampi settori del mondo medico
l’apprezzarono, vedendo nel superamento del ruolo ancillare e subalterno
delle professioni non una diminuzione del loro spazio operativo e del loro
ruolo, ma al contrario la possibilità di liberarsi di funzioni secondarie per
ottimizzare ed esprimere al meglio le proprie specifiche competenze.
Oggi viviamo tutti una fase nuova, non meno
impegnativa, quella che dovrà dare piena attuazione a quelle leggi. La vive
il Governo in primo luogo, che deve ancora completare i provvedimenti
attuativi. In particolare va registrato un notevole ritardo nell’adozione
del decreto di equiparazione dei titoli, previsto dal comma 2, dell’articolo
4, della legge 42. Il testo è però ormai in dirittura d’arrivo alla
Conferenza Stato regioni. Ma sono, soprattutto, le regioni chiamate a recepire
con proprie norme i principi della nuova legislazione, istituendo in primo
luogo le dirigenze per le quattro aree professionali. Lo hanno già fatto
pressoché tutte per l’area infermieristica e poche per le altre aree:
tecnico-sanitaria, della riabilitazione e della prevenzione, tra queste
Umbria, Campania, Toscana, Marche. Altre infine, pur con qualche
contraddizione e ritardo, ne stanno discutendo.
Ma è soprattutto nella quotidianità dei servizi che
le ASL e le Aziende ospedaliere sono chiamate ad adottare modelli
organizzativi dei servizi che valorizzino l’autonomia e la responsabilità
delle professioni. Operazione oltretutto necessaria in un sistema sanitario
che manifesta ampi margini di miglioramento in qualità ed efficienza quando
sa articolarsi sul territorio nelle diverse attività ambulatoriali, diurne ed
al domicilio dell’utente, quando sa elevare il contenuto della relazione
umana con il malato, quando è attento agli aspetti organizzativi, quando
valorizza nell’equipe multidisciplinare le diverse competenze e sensibilità
professionali. Ed in questo ambito vi è un ampio spazio di crescita per le
professioni sanitarie.
Vi sono poi le responsabilità del sistema
universitario chiamato ad attivare non solo le lauree di primo livello, ma
anche il biennio di specializzazione. Per le prime pesa l’insufficiente
numero di posti di formazione per gli infermieri, mentre per le specialistiche
il ritardo è generalizzato, tant’è che a tutt’ oggi non vi è alcuna
traccia del varo delle quattro lauree di secondo livello per ciascuna
specifica area professionale, anzi è verosimile che il governo
anche per questo secondo anno ne bloccherà l’attivazione.
In questo quadro il Ministro Sirchia ha recentemente
fatto approvare in Consiglio dei Ministri un disegno di legge nel quale chiede
un’ampia delega in materia di “professioni sanitarie non mediche”. Una
proposta pericolosa in quanto una delega incondizionata espone le professioni
sanitarie al rischio di un arretramento rispetto ai livelli di autonomia
acquisiti. Per di più l’annosa questione degli albi viene affrontata in
termini riduttivi con elenchi regionali che escludono le professioni da una
responsabilità diretta nella tutela propria e dell’utenza, nella
deontologia professionale, nel contrasto dell’abusivismo. La proposta, prima
bloccata e poi ricondotta dalle regioni ad un testo certamente più
accettabile, sembra essere stata abbandonata e questa circostanza non può che
rafforzare i sospetti sulle intenzioni originarie del ministro.
Rimane comunque il problema di completare un disegno
legislativo ancora non perfettamente compiuto. In primo luogo riaffrontando la
questione ordinistica. Nella precedente legislatura
la questione fu accantonata in attesa di una riforma degli ordini che
poi non vide la luce. Ma il problema rimane. Se si parla di libere
professioni, per di più in un campo costituzionalmente protetto qual’è la
tutela della salute, bisogna poi essere conseguenti. Vanno costituiti gli
albi, definiti nuovi inquadramenti professionali, garantita la libera
professione, anche attivando specifiche convenzioni nazionali. Non sarebbe
male cominciare ad esempio a riflettere seriamente sul cosiddetto infermiere
di famiglia, che affianchi il medico di medicina generale per la continuità
assistenziale ed una piena presa in carico dei bisogni di salute del
cittadino.
Ci sono infine profili professionali da definire,
come quello dell’ottico-optometrista, o da integrare e modificare, come nel
caso del podologo o del tecnico ortopedico. Nella sola Commissione Affari
Sociali della Camera risultano al momento depositate ben undici proposte di
legge che riguardano le professioni.
Tutti questi motivi hanno indotto il Gruppo DS a
chiedere ed ottenere una sessione speciale della Commissione Affari Sociali
sulle professioni. Tale sessione è già stata inserita nel programma di
lavoro trimestrale e ci proponiamo
di avviarla prima dell’interruzione estiva dei lavori. Abbiamo l’ambizione
di portare a compimento un percorso legislativo che porterà ad un sistema di
professioni forti e sempre più qualificate, protagoniste e responsabili in un
Servizio Sanitario che vogliamo pubblico e solidaristico, che metta al centro
il malato, il cittadino ed il suo diritto alla salute.
Bilancio
sull’epidemia di SARS
Grazia
Labate
12
maggio 2003
Il bilancio
aggiornato dell’epidemia di SARS o polmonite atipica, fornito dall’OMS e
l’aumento della soglia di incidenza mortale, non solo sollevano crescenti
preoccupazioni, ma anche interrogativi profondi su temi quali la tutela della
salute nel mondo, la prevenzione e il futuro della ricerca. La tabella
costruita sui dati OMS è eloquente. Proprio oggi, per il nostro paese, si è
registrata la buona notizia dei 9 casi segnalati che sono stati dimessi e
ritornati a casa in perfetta guarigione.
|
CASI |
MORTI |
ASIA |
|
|
Australia |
4 |
0 |
Cina |
5013 |
252 |
Hong
Kong |
1678 |
218 |
Indonesia |
1 |
0 |
Giappone |
2 |
0 |
Macao |
1 |
0 |
Malaysia |
7 |
2 |
Nuova
Zelanda |
1 |
0 |
Filippine |
4 |
2 |
Singapore |
205 |
28 |
Corea
del Sud |
2 |
0 |
Taiwan |
7 |
2 |
Vietnam |
63 |
5 |
|
|
|
EUROPA |
|
|
Gran
Bretagna |
6 |
0 |
Bulgaria |
1 |
0 |
Finlandia |
1 |
0 |
Francia |
7 |
0 |
Germania |
7 |
0 |
Irlanda |
1 |
0 |
Italia |
9 |
0 |
Polonia |
3 |
0 |
Romania |
1 |
0 |
Russia |
20 |
0 |
Svezia |
3 |
0 |
Svizzera |
1 |
0 |
|
|
|
NORDAMERICA |
|
|
Canada |
149 |
23 |
Stati
Uniti |
65 |
0 |
|
|
|
SUDAMERICA |
|
|
Brasile |
2 |
0 |
Colombia |
1 |
0 |
|
|
|
AFRICA |
|
|
Sudafrica |
1 |
0 |
|
|
|
TOTALI |
7400 |
559 |
Fonte:
Organizzazione Mondiale della Sanità
Tuttavia l’OMS non è ancora in grado di giudicare se l’espansione della SARS abbia raggiunto il livello massimo nel mondo o se vi sia ancora un margine di aggravamento. Dunque il problema è rafforzare gli strumenti di prevenzione contro le epidemie, costruire sempre più efficaci strumenti di controllo delle malattie, investire in ricerca e sviluppo, sia per affrontare validi test diagnostici che efficaci terapie. LA SARS, quindi, quale campanello d’allarme, che apre riflessioni e interrogativi sui modelli di sviluppo, sullo stato dell’ecosistema, sulle politiche comuni a promozione e tutela della salute umana. Un avvertimento forte, che richiama impellentemente in causa, le ragioni distorsive della globalizzazione in atto, il divario tra Nord e Sud del mondo, l’equilibrio uomo - natura, il rapporto economia – salute, le finalità dello sviluppo. Mi colpisce la sproporzione mediatica degli effetti SARS sull’economia, dai trasporti, al turismo, alle relazioni commerciali, rispetto al tema della promozione della salute umana, alle angosce ed ansie che pervadono milioni di cittadini nel mondo. Il bisogno di informazioni accurate, comprensibili; la certezza di una rete di sorveglianza sanitaria pronta a fronteggiare ogni evenienza; l’incredulità di fronte all’attuale stadio delle ricerche sui più terribili agenti virali e al loro caratterizzarsi quali agenti mutanti. Insomma, sono colpita dal fatto che persino a livello europeo, continente dove si sta reagendo adeguatamente, per combattere la diffusione dell’epidemia, permanga una certa sordità negli stati membri a stabilire una politica comune per la tutela della salute umana. La BSE ci ha costretti a dotarci a livello comunitario di una rete di sorveglianza e di allerta per la tutela della salute animale e di conseguenza per i suoi effetti sulla salute umana, mi auguro che la SARS, come auspica il Commissario Byrne, ci costringa a dotarci di un “Centro Europeo di controllo delle malattie” e di strumenti efficaci ed unitari di allerta rapida per la prevenzione e la cura da insorgenza di epidemie.
Occorrerà spingere in modo determinato perché la prossima Costituzione Europea contenga principi e regole comuni per il rafforzamento delle politiche comunitarie in campo sanitario altrimenti la libera circolazione di beni e persone senza la tutela della salute è un principio monco e comunque a rischio. Quando la ragione umana comprenderà che prevenire è meglio che curare? Non possiamo continuare ad agire ex post. Non possiamo non vedere come, gli iniziali quanto colposi insabbiamenti cinesi (tenere nascosti agli esperti internazionali i malati) abbiano contribuito al propagarsi della epidemia da coronavirus mutante, con un sistema sanitario non in grado di farvi fronte adeguatamente. Al tempo stesso non possiamo non sottolineare, quanto la cara vecchia Europa, e noi in Italia, con il nostro S.S.N. abbiamo reagito prontamente grazie al fatto di avere sistemi pubblici di tutela della salute umana. Si proprio così, pubblici. Se non avessimo avuto le nostre strutture si sanità aeroportuale e marittima, i nostri centri di riferimento di Roma e di Milano, l’istituto superiore di sanità, i nostri ospedali delle aree metropolitane attrezzati con i reparti di malattie infettive potenziati con le risorse pubbliche dai tempi dell’insorgenza dell’ AIDS, i nostri medici di medicina generale che hanno subito dato, la piena disponibilità per informare, collegarsi con la rete ospedaliera e i centri di riferimento per far fronte al problema, non avremmo potuto adeguatamente rispondere al quel virus lontano, che si propaga così facilmente, con lo starnuto di un vicino che vola con noi in aereo. Abbiamo incalzato in questo periodo, come opposizione, il Governo con interrogazioni urgenti, question time, fornendo suggerimenti e proposte, che via via il Ministro della Salute ci pare accolga, come quello del controllo dei passeggeri provenienti dal corridoio di Schengen. Abbiamo fatto richieste precise alla Commissione Affari Sociali della Camera: giovedì prossimo il Ministro verrà a riferire sullo stato dell’arte; la Commissione formerà una delegazione che si recherà nei 2 centri di riferimento e nei maggiori scali aeroportuali così come nei più grandi ospedali per verificare la congruità delle risposte. La Commissione Affari Sociali dovrà ritenersi convocata permanentemente per seguire l’andamento della SARS e le risposte che vengono via via affrontate.
Siamo
consapevoli che occorre perfezionare di più e meglio l’informazione, gli
strumenti di prevenzione, di
accertamento diagnostico perché il periodo che ci sta di fronte, con
l’avvio dell’autunno e del periodo influenzale, è periodo critico. Ci si
augura che il test sia pronto entro l’estate e l’I.S.S. dovrà validarlo.
Il primo test di carattere ambientale arriverà dall’Australia, dove
cominciando l’inverno si capirà se la SARS più l’influenza e i mali di
stagione, daranno luogo ad una più difficile e critica combinata oppure no.
Insomma, senza una seria ricerca su gli agenti virali
che attualmente minacciano la salute pubblica, sarà difficile mettere in atto
una efficace una azione di contrasto.
Il problema, per chi governa, non è solo quello di
denunciare o evocare con enfasi ciò che non c’è o va fatto. Occorre agire
tempestivamente, il banco di prova è la coerenza tra parole e fatti. I fatti
sono quanto il Governo stanzierà per la ricerca nel prossimo DPEF? Quante
risorse metterà a disposizione per la ricerca farmaceutica e per gli
approvvigionamenti di quei farmaci e di quei vaccini, il cui cocktail è fino
ad oggi usato per far fronte all’epidemia? Quanto si batterà il ministro
della salute perché il FSN aumenti, destinando almeno il doppio
dell’attuale quota (5%) destinata alla prevenzione? Quanto, durante il
semestre di presidenza italiana in Europa ci si batterà per creare un Centro
europeo per la sorveglianza e l’allerta rapida sulle malattie trasmissibili?
Quanto, a livello europeo, si rinegozierà delle risorse del sesto programma
quadro sulla ricerca perché avanzino studi e risposte farmaco terapiche sui
nuovi agenti virali mutanti? Quanto, infine, l’Europa a guida italiana, si
batterà presso le Nazioni Unite e all’interno del WTO, perchè
l’Occidente capisca che occorre rimuovere benefit, royalties, monopoli,
delle grandi industri farmaceutiche, e nel contempo fornire adeguate risposte
in termini economici e di risorse umane verso quei paesi che, continuiamo
ostinatamente a chiamare in “via di sviluppo ”, in cui la salute umana,
primo fattore per potersi sviluppare, è falcidiata da terribili epidemie
quali Malaria, AIDS, Ebola, colera, carenza d’acqua?
I focolai endemici dovuti alla miseria, alle
disuguaglianze, sono terribili ed ad un tasso di mortalità così elevato che
va ben oltre la SARS. Preoccupiamoci con altrettanta solerzia, anche se da
quei paesi non si esportano grandi business e non si viaggia facilmente in
aereo.
Che la SARS, sia un fattore di meditazione collettiva
e costruttiva per la salute di tutti i cittadini del mondo.
Con questo
seminario vogliamo iniziare un percorso di approfondimento e di ridiscussione
su tutti gli aspetti che attengono alle politiche di prevenzione. Per
arricchire e rendere ancora più visibile la nostra proposta in tema di sanità
e di politiche sociali dopo il buon successo del convegno dell
Il materiale di lavoro che mettiamo a disposizione è
rappresentato dal documento sulla prevenzione elaborato dal gruppo di lavoro
costituito presso la Direzione e da una serie di relazioni che focalizzeranno
alcuni aspetti noi ritenuti importanti, anche se non esaustivi, delle
problematiche della prevenzione, al fine di avviare un confronto vero tra chi,
a vario titolo, opera, non senza difficoltà oggi, nel mondo della sanità e
della salute.
Le considerazioni, i presupposti che stanno alla base
della necessità di rilanciare la prevenzione, sono:
1) L
La prima delle opportunità, quella prioritaria, è,
io penso, la possibilità che l
Ricollocare come strategica la prevenzione implica la
ridefinizione del rapporto utilità/opportunità. Il modello
attuale del SSN, pur offrendo una elevata utilità di
salute (gli indicatori della morbilità, della mortalità, ecc. sono tra i più
positivi fra i paesi occidentali) offre una bassissima opportunità di evitare
il verificarsi dell
2) La seconda considerazione scaturisce dall
Ebbene si ricorda che circa il 40% delle morti
potrebbero essere evitate se fossero attuate misure di prevenzione.
3) Terza e ultima considerazione. L
- i costi per i servizi sanitari mostrano di crescere
in modo apparentemente inarrestabile negli anni;
- la salute, dopo un iniziale incremento quasi
proporzionale a quello dei costi, pare migliorare sempre meno, sebbene l
- ai giorni nostri il grado di divaricazione tra
costi per i servizi sanitari e salute prodotta, assume dimensioni
inaccettabili e tali da spingere a parlare di "crisi" dell
La prevenzione è, dunque, una scelta obbligata sotto
il profilo etico, scientifico, economico e la tutela della salute dei
cittadini passa non solo attraverso il SSN, ma prioritariamente attraverso
scelte politiche che riguardano l
Di fronte a ciò, di fronte alle azioni del governo
di centrodestra, anzi, in questo campo, alle non azioni (basta leggere il
Piano Sanitario Nazionale presentato da Sirchia per avere piena testimonianza
di una concezione residuale della prevenzione) noi DS, nei nostri livelli
organizzativi locali, dobbiamo mettere in campo proposte e azioni concrete,
che partano dalla conoscenza delle realtà in cui operiamo con alcune priorità.
1. In ogni Comune, il Piano Integrato di salute:
Questo andrà elaborato con la partecipazione di
aziende sanitarie, enti locali, ARPA, organizzazioni sindacali,
imprenditoriali, Terzo settore, volontariato e col supporto tecnico dei
Dipartimenti di Prevenzione.
I nostri programmi e quelli dell
2. Rilanciare con forza l
Il
particolare momento che stiamo vivendo e lo scontro sociale in atto proprio
sulle questioni del lavoro, rinnovano l
L
In una società
moderna, una organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori
che migliorano le prestazioni dell
La "non qualità"
del lavoro si traduce – oltreché in drammi umani – in una perdita di
capacità produttiva per l
Una nuova e diversa
responsabilità sociale delle imprese può tradursi, dunque, non solo in
riduzione dei costi umani e sociali legati agli infortuni sul lavoro ma in
benefici sulle prestazioni e sulla competitività.
Il mondo del lavoro
è in profonda trasformazione. Questa trasformazione non nasconde una realtà
tuttora presente, che mostra tassi di incidenza di infortuni sul lavoro
particolarmente elevati in taluni settori (ad es. l
Accanto a questi
problemi "storici" si pongono problemi nuovi, legati ad esempio all
Problemi nuovi
legati alla trasformazione delle forme di occupazione, l
La più ampia
presenza delle donne nel mondo del lavoro introduce poi una nuova
dimensione nel campo della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro,
legata alla specificità e alle differenze biologiche. Un campo di conoscenza
e di acquisizioni epidemiologiche e scientifiche, ancora rimasto colpevolmente
inesplorato.
Nel documento
trovate alcune proposte che ci sembrano giuste sia sul versante istituzionale
e legislativo che aziendale. In primo luogo quella di dare corpo ai
Dipartimenti di prevenzione che, in alcune realtà
aziendali, sono virtuali.
3) Valorizzare come problema di sanità pubblica la
prevenzione alla persona e in particolare la prevenzione oncologica.
Alcuni di voi hanno criticato questo aspetto ed in
particolare l
Quando parliamo di screening per alcune patologie
oncologiche ci riferiamo a quelle procedure che hanno avuto una validazione
scientifica e dunque sono ritenute universalmente valide per la diagnosi
precoce non certo un
Gli esempi a cui penso riguardano gli screening del
tumore della mammella e del tumore del collo dell
Questo va nel senso di correggere le disequità che
ancora persistono, soprattutto nell
Istituzione di
un Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti
7
maggio 2003
(Fondo per il
sostegno delle persone non autosuffìcienti)
1. In attuazione dei principi d di cui alla legge 8
novembre 2000, n. 328, e alla legge 8 novembre 2000, n. 328, e alla legge 5
febbraio 1992, n. 104, al fine di incrementare il sistema di protezione sociale
di cura per le persone non autosufficienti è istituito, presso il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per il sostegno delle persone non
autosufficienti, di seguito denominato “Fondo”.
2. Ai fini della presente legge sono considerate
autosufficienti tutte le persone che, a seguito di forme di disabilità
congenite o sopravvenute, di malattie o traumi, sono incapaci di svolgere
autonomamente le funzioni essenziali nell’ambito della quotidiana, rapportate
alla loro età.
3. I livelli essenziali delle prestazioni
socioassistenziali per le persone non autosufficienti e i parametri grado di non
autosufficienza sono definiti, entro tre mesi dalla entrata in vigore della
presente legge, con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza unificata di
cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sulla base
dei principi e criteri di cui agli articoli 14, 15 e 16 della legge 8 novembre
2000, n. 328.
4. Le
prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza sociale per le
persone non autosufficienti non sono sostitutive di quelle sanitarie e sono
finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza
integrata sociosanitaria, ai sensi dell’articolo 2 del
ART. 2
(Finalità del
Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti)
1. Ferme restando le competenze del Servizio
sanitario nazionale in materia di prevenzione, di cura e di riabilitazione delle
patologie acute e croniche da cui possa derivare una condizione di non
autosufficienza permanente, il Fondo è destinato alle seguenti finalità:
a) favorire l’utilizzo della rete dei servizi
attraverso la realizzazione, nei limiti delle relative disponibilità
finanziarie, di progetti individuali per le persone disabili e per il sostegno
domiciliare per le persone anziane non autosufficienti, di cui agli articoli 14
e 15 della legge 8 novembre 2000 n. 328;
h) erogare titoli per la fruizione di prestazioni
sociali ed assegni di cura commisurati alla gravità del bisogno, allo scopo di
garantire assistenza e sostegno a soggetti con gravi limitazioni
dell’autonomia e migliorare la vita di relazione e la comunicazione, di cui
agli articoli 16 e 17 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
e) erogare le risorse necessarie al pagamento della
quota sociale a carico dell’utente in caso di ricovero in una residenza
sanitaria assistita o in strutture similari anche a carattere diurno;
ART. 3
(Funzionamento
del Fondo)
1. Entro tre mesi dalla entrata in vigore della
presente legge, il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, con proprio
decreto, emanato di concerto con i Ministri della salute e dell’economia e
delle finanze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede alla ripartizione tra
le Regioni delle risorse del Fondo sulla base di indicatori — stabiliti nel
medesimo decreto — riferiti alla percentuale di persone non autosufficienti
sulla popolazione di riferimento e di indicatori demografici e socio –
economici.
2. Nel pieno rispetto della potestà regolamentare
delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Città metropolitane in ordine
alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro
attribuite in materia di solidarietà sociale e al fine di consentire
l’effettivo esercizio dei diritti della persona, con il medesimo decreto di
cui al comma 1 sono determinati:
a) i criteri per l’individuazione e
l’accertamento della non autosufficienza, sulla base dei criteri previsti
dalla classificazione internazionale ICF dell ‘Organizzazione Mondiale della
Sanità;
b) le modalità di gestione del Fondo e la tipologia
e le modalità di erogazione delle prestazioni economiche e di natura
assistenziale;
c) le modalità e le procedure attraverso le quali,
nell’ambito del distretto socio-sanitario, di cui all’art. 3-quater del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, introdotto dall’art. 3, comma 3,
del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, devono essere valutati il
bisogno assistenziale e le prestazioni da erogare a favore della persona non
autosufficiente;
d) le modalità di controllo e di verifica della
qualità delle prestazioni erogate e delle spese sostenute dalle famiglie, nel
rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni socioassistenziali di cui al
comma 3 dell’articolo 1.
ART.4
(Diritti
acquisiti)
1 titolari delle indennità di accompagnamento e di comunicazione
di cui alle leggi 11 febbraio 1980, n. 18, 26 maggio 1970, n. 381, 27 maggio
1970, n. 382, e al decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509, in
condizioni di non autosufficienza, possono optare, in alternativa alla
indennità percepita, per la fruizione delle prestazioni erogate dal Fondo.
ART. 5
(Dotazione del Fondo)
1.
Il Fondo di cui all’articolo 1 ha una dotazione annuale cosi costituita:
a)
dal gettito dell’addizionale istituita dall’articolo 6;
b)
dalle risorse destinate all’erogazione dell’indennità di accompagnamento
limitatamente alla quota non utilizzata dai soggetti che abbiano esercitato
l’opzione di cui all’articolo 4.
ART.6
(Addizionale per il sostegno alla non autosufficienza)
1.
E’ istituita l’addizionale per il sostegno alla non autosufficienza sui
redditi delle persone fisiche e giuridiche. L’addizionale non è deducibile ai
fini di alcuna imposta, tassa o contributo.
2.
In sede di prima attuazione, per gli anni 2003, 2004 e 2005, l’addizionale di
cui al comma 1 è determinata applicando un incremento medio dell’O,75 per
cento da graduare in modo differenziato in relazione ai diversi scaglioni di
reddito di cui al TU. delle imposte sui redditi, approvato con il DPR n. 917 deI
1986, prevedendo altresì l’esenzione per i redditi bassi.
3.
A decorrere dall’anno 2006, la dotazione del Fondo è determinata annualmente
dalla legge finanziaria, con le modalità di cui all’articolo 11, comma 3,
della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
ART. 7
(Gestione contabile del Fondo)
1.
Le Regioni possono prevedere addizionali regionali aggiuntive all’addizionale
di cui all’articolo 6, nella misura massima dello 0,5 per cento, per le
finalità di cui all’articolo 2.
2.
Le Regioni possono avvalersi dell’INPS per la gestione della quota del Fondo
di loro spettanza: a tal fine presso I’INPS è istituita una apposita
contabilità separata per la gestione delle risorse del Fondo. Con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze sono determinati i compensi ed i
rimborsi spettanti all’INPS per la gestione del Fondo.