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Di
seguito riportiamo alcuni estratti di tre recenti decisioni del Consiglio di
Stato* nelle quali sono state condannate le aziende sanitarie locali al
pagamento delle rette di degenza di soggetti affetti di gravi malattie. Le Asl
ritenevano di non essere tenute al pagamento delle rette in quanto la
prestazione era da ritenersi di natura assistenziale - di competenza del Comune
- e non sanitaria.
Le
decisioni, hanno confermato la competenza sanitaria - dunque l’assunzione dei
corrispondenti oneri - negli interventi
con carattere di “cura” delle patologie in atto, ricordando che la stessa
normativa non dispone che debbano definirsi tali solo i trattamenti che lascino
prevedere la guarigione o la riabilitazione del paziente. Facendo riferimento al
DPCM 14 febbraio 2001 - Atto di indirizzo e coordinamento in materia di
prestazioni socio-sanitarie - si
specifica che lo stesso considera di carattere sanitario “i trattamenti volti
al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o
acquisite”. Si ribadisce, dunque, che la competenza del settore sanitario (e
dunque anche i conseguenti oneri finanziari)
non si arresta alla fine di un processo che può portare alla guarigione
o alla riabilitazione, ma rimane anche quando gli interventi sono “volti al
contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o
acquisite”. Insomma la cura non termina, come in troppi vogliono far credere
al solo fine di ridurre le spese sanitarie, nelle fasi acute e post acute della
malattia. Le decisioni rivestono la massima importanza a
conferma della tesi, in rispetto della normativa vigente, che alla sanità
e non all’assistenza competono gli interventi di cura quand’anche non
portino alla guarigione.
1)
Sentenza
n. 3377/03
Il
Consiglio di
Stato ha accolto il
ricorso proposto dall’Istituto Ospedaliero del Sospiro per l’accertamento
dell’obbligo, in via principale, del Comune di Redondesco e, in via
subordinata, della ASL di Mantova, del pagamento delle rette di degenza del
paziente A.F. affetto da insufficienza mentale grave e degente
presso il predetto Istituto. Il TAR ha ritenuto che l’obbligo in questione
sussista a carico del Comune di Redondesco, il quale ha fatto appello per
ottenere la riforma della decisione, sostenendo che l’onere debba essere
sostenuto dalla ASL di Mantova. La ASL e l’Istituto del Sospiro si sono
costituiti per sostenere l’infondatezza del gravame.
La
controversia concerne l’individuazione del soggetto pubblico, comunale o
sanitario, tenuto a sostenere l’onere della retta di degenza per un cittadino
affetto da grave insufficienza
mentale, in stato di ricovero dal 1952. E’ noto che, a norma dell’art. 30
della legge 27 dicembre 1983 n. 730, sono poste a carico del servizio sanitario
nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle
socio assistenziali, e che il successivo DPCM 8 agosto 1985, all’art. 1, ha
definito attività di rilievo sanitario quelle “che richiedono personale e
tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano
diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del
cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria
di ...cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo”.
In
termini non sostanzialmente diversi si esprime il DPCM 14 febbraio 2001,
ricordato dalla difesa della ASL, allorché, all’art. 3, propone una
classificazione che pone a carico del servizio sanitario nazionale le
prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, definendole come “prestazioni
assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono
finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione,
rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie
congenite o acquisite”.
Sulla
base di tali definizioni il Tar ha
considerato accertato che, nella specie, il paziente, affetto da grave
insufficienza mentale stabilizzata ed irreversibile, necessitasse soltanto dei
meri interventi farmacologici destinati a contenere isolati episodi di
agitazione psico-motoria, e che tali prestazioni fossero prive di rilievo
sanitario “essendo totalmente assente la finalità riabilitativa e
curativa”.
Il
Collegio non condivide l’interpretazione del quadro normativo seguita dai
primi giudici.
La
ricordata normativa ministeriale, sia nella formulazione del 1985 che in quella
del 2001, attribuisce rilievo sanitario agli interventi con carattere di
“cura” delle patologie in atto, ma non dispone che debbano definirsi tali
solo i trattamenti che lascino prevedere la guarigione o la riabilitazione del
paziente. A tale riguardo pare dirimente proprio il DPCM del 2001, nella parte che
considera di carattere sanitario i trattamenti volti al contenimento di esiti
degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite. Nella
specie è stato documentato, soprattutto con la perizia del dr. Benevelli.
prodotta dal Comune, cui non sono state formulate osservazioni dalla
controparte, ma anche secondo le relazioni dei medici dell’Istituto di
Sospiro, che la persona in questione è costantemente, e non in via saltuaria e
occasionale, sotto farmaco neurolettico definito maggiore e, al bisogno, deve
far ricorso ad altro farmaco, e ciò nonostante va soggetto ad episodi di
agitazione psicomotoria, che talvolta richiedono l’impiego di contenzioni
meccaniche. In tale situazione, appare evidente che nessun rilievo può
annettersi alla circostanza, rappresentata dalla perizia prodotta dalla ASL, che
non sarebbe praticabile sul paziente alcun intervento di tipo psichiatrico in
quanto il medesimo, in base all’apposito test clinico, risulta totalmente
dipendente. Non è in discussione, infatti che, il paziente abbia necessità di
assistenza continua per l’igiene personale, per l’alimentazione e per tutti
i bisogni primari, e neppure che, verosimilmente, il suo stato sia cronico e
irreversibile. Conta invece che le forme di assistenza di cui necessita il
soggetto non possano farsi rientrare tra le prestazioni “sociali a rilevanza
sanitaria” che il DPCM del 2001 definisce “attività del sistema sociale che
hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi
di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute”. Si tratta
infatti, a tutti gli effetti, di vere e proprie cure, la cui costante
somministrazione può rivelarsi pericolosa per il paziente e che, pertanto, deve
essere affidata a personale sanitario, professionalmente in grado di valutare al
momento le misure da prendere con efficacia e sicurezza. In conclusione
l’appello deve essere accolto, affermando l’obbligo della ASL della
Provincia di Mantova di provvedere al pagamento delle rette di degenza in
contestazione, e compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2)
Sentenza n. 152/04
3)
Sentenza
n. 479/04
Sul
ricorso in appello proposto da A.S.L./5 di Jesi. La sentenza appellata,
accogliendo il ricorso proposto dall’Istituto Ospedaliero di Sospiro, ha
dichiarato l’Unità Sanitaria Locale n. 5 di Jesi obbligata al pagamento delle
rette di degenza relative al ricovero presso l’Istituto ricorrente del Sig. M.
R., affetto da insufficienza mentale di grado elevato con disturbo
autistico, disabile psichico intellettualmente e mentalmente.
L’Azienda Sanitaria n. 5 di Jesi, subentrata alla USL, impugna la sentenza,
l’appellante sostiene di non essere tenuta al pagamento delle rette di
degenza, in quanto si tratterebbe di prestazioni non sanitarie ma assistenziali,
gravanti sull’amministrazione comunale di Belvedere Ostrense. Nel merito, l’appellante
sostiene che le prestazioni erogate hanno natura assistenziale e, quindi, devono
gravare interamente sull’amministrazione comunale.
In
punto di diritto, tutte le spese di carattere sanitario anticipate dagli
istituti di ricovero, cura e assistenza devono gravare sulle amministrazioni
sanitarie e non sui comuni, quando siano dirette in via esclusiva o prevalente
alla riabilitazione e rieducazione degli handicappati, nonché alla cura ed al
recupero fisico-psichico dei malati di mente, purché le suddette prestazioni
siano integrate con quelle dei servizi psichiatrici territoriali;
in
punto di fatto, le prestazioni in oggetto, per le loro caratteristiche
oggettive, devono considerarsi di natura sanitaria.
La
Sezione ha recentemente affrontato le questioni giuridiche proposte nel presente
giudizio, con particolare riguardo all’individuazione del soggetto pubblico,
comunale o sanitario, tenuto a sostenere l’onere della retta di degenza per un
cittadino affetto da grave insufficienza mentale (decisione n. 3377/03).
Secondo
tale pronuncia, è noto che, a norma dell’art. 30 della legge 27 dicembre 1983
n. 730, sono poste a carico del servizio sanitario nazionale gli oneri delle
attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, e che il
successivo DPCM 8 agosto 1985, all’art. 1, ha definito attività di rilievo
sanitario quelle “che richiedono personale e tipologie di intervento propri
dei servizi socio-assistenziali, purché siano diretti immediatamente e in via
prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in
interventi a sostegno dell’attività sanitaria di ...cura e/o riabilitazione
fisica e psichica del medesimo”.
In
termini non sostanzialmente diversi si esprime il DPCM 14 febbraio 2001, allorché,
all’art. 3, propone una classificazione che pone a carico del servizio
sanitario nazionale le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, definendole
come “prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati
interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla
prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o
invalidanti di patologie congenite o acquisite”.
La
ricordata normativa ministeriale, sia nella formulazione del 1985 che in quella
del 2001, attribuisce rilievo sanitario agli interventi con carattere di
“cura” delle patologie in atto, ma non dispone che debbano definirsi
tali solo i trattamenti che lascino prevedere la guarigione o la riabilitazione
del paziente. A tale riguardo pare dirimente proprio il D.P.C.M. del 2001, nella
parte che considera di carattere sanitario i trattamenti volti al contenimento
di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite.
In punto di fatto, si deve rilevare che il Sig. R. risulta affetto, sin dalla
nascita, da “insufficienza mentale grave con disturbo autistico”.
La
documentazione medica prodotta dall’Istituto compie ripetuti riferimenti agli
interventi sanitari e farmacologici a scopo parzialmente riabilitativo e
conservativo anche per limitare eventuali comportamenti autoloesionistici
dell’interessato. Al riguardo, assume particolare rilevanza la relazione della
Dottoressa Galizzi, medico psichiatra, la quale, in data 13 maggio 1991,
afferma: “attualmente il disturbo autistico appare l’elemento più rilevante
del quadro psicopatologico; tuttavia esso è anche inscindibilmente legato al
deficit intellettivo di base di cui ha probabilmente influenzato l’evoluzione.
Il paziente è in trattamento con Tioridazina e Diasepam”.
Anche
la successiva relazione sanitaria del 1996 evidenzia che il Sig. R. è
sottoposto a una articolata terapia psichiatrica, consistente in un
“trattamento educativo di gruppo”, diretto “al recupero possibile delle
minime autonomie in precedenza acquisite ed al rallentamento dell’evoluzione
autistica”.
In
tale contesto, il R. usufruisce anche di un’ “assistenza suppletiva
ambientale richiesta dalla carenza intellettiva di base” per il
soddisfacimento dei bisogni quotidiani. Ma si tratta di un’attività
certamente non esclusiva e destinata ad integrarsi con altre prestazioni più
propriamente sanitarie.
Si
tratta di elementi univoci nel senso che le prestazioni erogate dall’Istituto
non possono ridursi alla pura e semplice sostituzione dell’assistenza
familiare. Al contrario, dette prestazioni vanno inquadrate a pieno titolo tra
gli interventi sanitari, o, quanto meno, tra le attività di rilievo sanitario
connesse con quelle socio assistenziali, di competenza delle Aziende USSL.
* Il testo integrale delle Sentenze può essere consultato sul sito internet del Gruppo Solidarietà www.grusol.it al link informazioni. Sottolineature e corsivi sono redazionali.