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M. VIROLI
RIFORME COSTITUZIONALI A TAPPE FORZATE
LA NUOVA CARTA È GIÀ DIFETTOSA
A tappe forzate, con tempi di discussione contingentati,
prosegue il cammino della riforma che darà vita ad una nuova Costituzione e
dunque ad un nuovo disegno delle istituzioni della Repubblica. Tenacemente
voluta dalla maggioranza di centro-destra, ed ora altrettanto tenacemente
contrastata dall'opposizione, la riforma avrà quale suo capitolo conclusivo un
referendum popolare necessariamente caratterizzato da forti contrasti. Anche se
la riforma sarà approvata, avremo una nuova Costituzione nata a prezzo di una
divisione profonda e senza quell' ampio consenso che ha sempre sostenuto quella
prodotta dall'Assemblea Costituente. Quali che siano i suoi pregi e le esigenze
legittime alle quali risponde, la nuova Costituzione mancherà il primo requisito
delle buone costituzioni politiche che è quello di unire un popolo attorno alle
istituzioni. L'altra vera e propria ragione di esistere delle costituzioni
politiche, insegnano i classici del costituzionalismo, è realizzare un
equilibrio armonico fra le diverse istituzioni dello Stato, al fine di impedire
che una prevalga sulle altre. Nella nostra Costituzione elemento fondamentale
dell'equilibrio dei poteri è il Presidente della Repubblica, in quanto,
soprattutto, è il Capo dello Stato, «rappresenta l'unità nazionale» (art. 87) e
può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le camere. (art. 88). Nella nuova
costituzione che sta nascendo in questi giorni, il Presidente della Repubblica
rimane Capo dello Stato, ma non ha più il potere di sciogliere le camere, che
passa al Primo Ministro «che ne assume la esclusiva responsabilità» (art. 88).
In questo modo, il delicatissimo potere di sciogliere la Camera dei Deputati e
di indire nuove elezioni, passa da un potere super partes ad una delle parti in
gioco, quale è appunto il Primo ministro. Libero dal freno del Presidente della
Repubblica, il Primo ministro, o meglio la maggioranza «espressa dalle
elezioni», diventa arbitro del Parlamento.
In questo modo si crea all'interno della Camera una diseguaglianza di potere fra
i deputati della «maggioranza espressa dalle elezioni» e quelli dell'opposizione
che viola il principio che impone, in un regime democratico, l'eguaglianza di
tutti i partecipanti alle deliberazioni sovrane. Si delinea inoltre una rigida
separazione, che nasce fuori dal Parlamento, fra maggioranza e opposizione che
contrasta con il principio che «ogni membro del Parlamento rappresenta la
Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» (art.67).
L'assemblea legislativa nel suo insieme perde di conseguenza il potere effettivo
di controllo dell'operato del governo per cederlo alla «maggioranza espressa
dalle elezioni», con evidente diminuzione della sua autorevolezza e della sua
capacità di produrre deliberazioni che sappiano tenere conto del bene comune.