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Politica dei servizi sociali - Saggi e Articoli
Mancini Massimiliano
La devolution una legge
ambivalente – parte 1
Fonte:
http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/21797.html
2006
Un federalismo apparente nasconde un nuovo centralismo
nella legge costituzionale di riforma istituzionale dello Stato nota come
devolution, approvata definitivamente dal parlamento
E’ stato definitivamente approvato in seconda lettura il progetto di riforma
Costituzionale denominato “Modifiche della Parte II della Costituzione”,
e comunemente denominato “Devolution”.
Quiesto atto conclude l’iter parlamentare iniziato con il disegno di legge
Costituzionale d’iniziativa governativa presentato dal Presidente del
Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, dal Vice presidente Gianfranco Fini,
dal Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione Umberto Bossi e dal
Ministro per le politiche comunitarie Rocco Bottiglione, di concerto con il
Ministro dell’interno Giuseppe Pisanu e con il Ministro per gli affari
regionali Enrico La Loggia
Tuttavia sin dal primo consenso, arrivato il 25 marzo 2004 con l’approvazione
da parte del Senato della prima formulazione del testo di legge che, in
seguito, è stato modificato alla Camera dei Deputati, non sono mancate
polemiche anche all’interno della stessa maggioranza proponente.
Oltre che sui conteniuti le polemiche si sono concentrate anche sul metodo,
poiché da molte parti, anche all’interno della maggioranza di governo, si
ritirene che una riforma così profonda della Costituzione dovesse essere
approvata non da una sola parte politica ma da un’assemblea costituente.
Poiché i numeri non consentono di raggiungere una maggioranza favorevole pari
ai due terzi del Parlamento, l'entrata in vigore della legge sarà subordinata
alla vittoria dei sì nel referendum confermativo che si terrà sicuramente
subito dopo le elezioni politiche di primavera.
LA DEVOLUTION NEL NOSTRO PAESE
Il termine “Devolution” si ricollega al mondo
anglosassone non solo linguisticamente, ma anche politicamente poiché indica
sostanzialmente quel vasto processo di riforma istituzionale avviato nel 1997
nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e che ha consentito di raggiungere
una soluzione di compromesso per assecondare, in qualche modo, le forti
istanze di autonomia della Scozia senza stravoolgere l’unità nazionale della
Corona Britannica.
In realtà il contesto storico e politico dell’Italia ha poche
affinità con il Regno unito, e se le pretese della Scozia sono basate
sull’identità nazionale e culturale di questa regione, annessa forzosamente
all’Inghilterra, appare difficile trovare dei paralleli nella variegata
cultura, storia e tradizione degli stati preunitari Italiani che, peraltro,
non si rispecchiano in alcun modo negli attuali confini regionali.
Tuttavia questo disegno di legge non realizzerà sicuramente uno
stato federale e, ben vedere, presenta un atteggiamento che potremo
definire “asimmetrico” sul versante delle autonomie.
Questa riforma infatti, mentre si propone di sostituire al Senato
della Repubblica il “Senato federale”, quindi una camera legislative
eletta a suffragio universale e diretto su base regionale, da eleggere
contestualmente al rispettivo Consiglio o Assemblea regionale, nello stesso
tempo si introduce il bicameralismo imperfetto.
In questo modo, la Camera dei Deputati, diviene l’unico organo
titolare della potestà legislative nelle materie rimesse alla competenza
esclusiva dello Stato, mentre la futura camera “federale” si limiterà alla
formazione delle leggi di principio nelle materie rimesse alla a competenza
ripartita stato-regioni.
Per quanto riguarda poi le affermate concessioni all’autonomia delle
regioni, è opinione dello scrivente che con questa riforma la potestà
legislative, nel complesso, non migliorerà affatto il quadro attuale, anzi
forse lo peggiorerà.
Innanzituto perché, come si vedrà più approfonditamente, si sono
concesse competenze su settori, quale è la sanità, la scuola e la polizia
locale, che le regioni già gestiscono da tempo e pagano integralmente con le
proprie risorse.
Inoltre in cambio di poche sostanziali concessioni si è globalmente
ridimensionata tutta la potestà legislative delle regioni, che ritorna
assogettata all’”interesse nazionale della Repubblica”, una formulazione
indefinita che riporta indietro alla disciplina costituzionale che vigeva
prima della riforma del Titolo V introdotta dalla Legge Costituzionale 18
ottobre 2001 n.3.
La legge regionale ritorna quindi ad essere fonte subrimaria del
nostro ordinamento poiché, a differenza della legge dello Stato, non trova
limiti nella sola Costituzione, ma anche nel giudizio del governo, che può
addirittura richiedere al Parlamento l’annullamento della Legge regionale!
In alcuni casi poi, a ben vedere l’ampliamento delle competenze è
stato solamente di facciata, come nel caso della polizia locale, dove ci si è
limitati a sostituire alla competenza esclusiva, e senza i limit
dell’interesse nazionale, in material di “polizia amministrativa locale”
la nuova competenza in materia di “polizia amministrativa regionale e
locale”, come se la dimensione regionale non rientrasse già nel concetto
di sicurezza locale.
Tuttavia è opportuno ricordare il processo di revisione
costituzionale che si è operato sino a questo momento e che è attualmente in
vigore, per comprendere al meglio la portata delle riforme che prevede il
disegno di legge sulla devolution.
I NUOVI RAPPORTI STATO-REGIONI-ENTI LOCALI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO
V (Legge Costituzionale 3/01)
Prima di questa proposta di legge costituzionale, la riforma del
Titolo V della Costituzione, operata con la Legge Costituzionale 18 ottobre
2001 n.3, ha pienamente equiparato la produzione normativa dello Stato e delle
Regioni che sono divenute entrambe, nell’ambito delle rispettive competenze,
fonti primarie dell’ordinamento giuridico.
In precedenza le leggi regionali erano considerate fonte
“subprimaria” del nostro ordinamento e di livello inferiore alla legge dello
Stato, poiché la carta Costituzionale imponeva alla produzione legislativa
delle regioni, come limiti generali, il rispetto dei “principi fondamentali”
contenuti nelle stesse leggi dello Stato, stabilendone, di fatto, una
subordinazione ed inoltre un ulteriore limite, incerto e mutevole, costituito
da ”l’interesse nazionale”.
Oggi queste limitazioni sono state cancellate, così come la
vigilanza dello Stato centrale attraverso un proprio rappresentante, il
commissario di governo, che apponeva il visto (quasi un placet) sulle leggi
regionali, pertanto oggi il sindacato di legittimità sulle leggi regionali,
come per quelle dello Stato, è rimesso esclusivamente alla Corte
Costituzionale.
Inoltre, mentre la precedente formulazione dell’art.117 della
Costituzione definiva tassativamente le materie rimesse alla competenza
legislativa delle regioni, l’attuale riforma ha invertito completamente il
criterio, definendo tassativamente le materie rimesse alla competenza
esclusiva dello stato e quelle nella quali la competenza delle regioni è
subordinata ai principi generali fissati dallo stato (legislazione
concorrente), mentre tutte le altre materie si intendono attribuite alla
competenza esclusiva delle regioni.
LE PRINCIPALI RIFORME DELLA DEVOLUTION-IL SISTEMA PARLAMENTARE
La prima grande riforma che prevede questo disegno di legge
Costituzionale riguarda il sistema parlamentare che dall’attuale sistema
bicamerale, con un bicameralismo perfetto, intende sostituire una struttura
più snella di tipo monocamerale.
L’originale formulazione dell’art.55 della Costituzione recita
testualmente: “Il Parlamento si compone della camera dei deputati e del
Senato della Repubblica”, mentre con questa riforma il testo si modifica
in: “Il Parlamento si compone della camera dei deputati e del Senato
federale della Repubblica.
In questo modo si sostituisce completamente il processo di
formazione delle leggi, che per essere approvate non richiederebbero una
doppia deliberazione da parte delle due camere.
Infatti, alla precedente formulazione dell’art.70 della Costituzione
che dispone: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalla
due Camere”,si contrappone il nuovo testo dell’art.70 secondo il quale“La
Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui
all’articolo 117, secondo comma (materie rimesse alla competenza
esclusiva dello Stato N.d.R.) fatto salvo quanto previsto dal terzo comma
del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte della Camera, a tali
disegni di legge il Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni, può
proporre modifiche, sulle quali la Camera decide in via definitiva. I termini
sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei
decreti-legge. Il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge
concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui
all’articolo 117, terzo comma (materie rimesse alla competenza ripartita
dello Stato N.d.R.), fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del
presente articolo. Dopo l’approvazione da parte del Senato, a tali disegni di
legge la Camera dei deputati, entro trenta giorni, può proporre modifiche,
sulle quali il Senato decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla
metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.”.
In questo contesto la Camera dei deputati ha competenza legislativa
su tutte le materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato. Il Senato
può chiedere di riesaminarle (serve una richiesta di due quinti dei senatori),
quindi il testo torna alla Camera, che decide in maniera definitiva.
Il Senato esamina le leggi con le quali si definiscono i principi
generali, nelle materie a competenza ripartita, ai quali dovranno conformarsi
le leggi regionali, ma anche le leggi di bilancio e la finanziaria. La Camera
può chiedere di riesaminarle e nel termine di trenta giorni il Senato decide
in via definitiva.
Solo in alcuni casi è previsto l’esercizio collettivo della funzione
legislativa da parte delle due camere, e quindi l’approvazione da parte di
entrambe del medesimo testo di legge, ad esempio per quanto riguarda le leggi
elettorali, i livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, tributi e federalismo fiscale, deliberazione dello stato di guerra e
in tutti gli altri casi in cui la Costituzione, senza specificarne la
competenza, rinvia alla legge dello Stato o della Repubblica.
In tutti questi casi è previsto che, qualora le due Camere non
riescano ad approvare un disegno di legge nel medesimo testo, i rispettivi
Presidenti possano convocare una commissione composta di trenta deputati e da
trenta senatori, secondo il criterio di proporzionalità, incaricata di
proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due Assemblee.
LA FORMA DI GOVERNO-IL PREMIERATO FORTE
Anche la forma di governo è profondamente innovata da questa
riforma che trasforma l’attuale sistema di governo parlamentare in premierato
forte.
Attualmente l’art.92 della Costituzione recita testualmente: “Il
Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dei
Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente
della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su
proposta di questo, i Ministri ”.
Con questa riforma il nuovo testo dell’art.92 sarebbe modificato in:
“Il Governo della Repubblica è composto dal Primo ministro e dai ministri,
che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. ….omissis….Il Presidente
della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei
deputati, nomina il Primo ministro”.
Il capo del governo, denominato non più Presidente del Consiglio ma
Primo ministro, diviene molto più forte, innanzitutto perché sarebbe eletto
direttamente dal popolo, attraverso un meccanismo di collegamento con i
candidati alle elezioni della Camera dei deputati.
Dopo la nomina (vincolata) da parte del Presidente della Repubblica,
il capo del governo non avrà più bisogno della fiducia per insediarsi.
E’ stata preclusa la possibilità dei c.d. “ribaltoni” e quindi,
l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del governo o del
Primo Ministro o la mancata approvazione di una proposta di legge sulla quale
sia stata posta la fiducia da parte del governo determinano lo scioglimento
della Camera dei deputati, tranne il caso che la maggioranza risultante dalle
elezioni non approvi a maggioranza un nuovo Primo Ministro.
Nel nuovo disegno istituzionale, il primo ministro determina la
politica generale del governo e garantisce l'unità d’indirizzo politico e
amministrativo ed i suoi poteri si estendono sino alla nomina ed alla revoca
dei ministri, ed addirittura alla facoltà di sciogliere la Camera dei
deputati, funzioni queste riservate oggi al Presidente della Repubblica.
IL NUOVO PARLAMENTO ED IL SENATO FEDERALE
Questa riforma prevede molte novità anche sulla composizione e sulla
struttura del parlamento, a cominciare dalla creazione del Senato federale
della Repubblica, quale Camera rappresentativa degli interessi del territorio
e delle comunità locali, il cui presidente diviene la seconda carica
istituzionale della Repubblica, con la funzione di sostituire il Capo dello
Stato in tutti i casi in cui egli non possa assolverle.
In questa nuovo organo è prevista anche la partecipazione delle
rappresentanze dei Consigli regionali e delle autonomie locali, ma tutti senza
diritto di voto, in particolare 42 rappresentanti complessivi, la metà in
rappresentanza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, e
l’altra metà in rappresentanza delle Autonomie locali.
In questo contesto le due camere si distinguono anche per il momento
dell’elezione, poiché mentre i deputati sarebbero eletti ogni 5 anni, salvo
scioglimento anticipato, la data di elezione dei senatori sarebbe comunque
abbinata a quella delle regioni di appartenenza e quindi non solo non saranno
eletti contestualmente ai colleghi deputati, ma le eventuali elezioni
anticipate in una regione determineranno anche il rinnovo dei deputati di
quello specifico collegio.
Il nuovo Senato federale è privato completamente della funzione di
controllo politico sul governo che ha l’attuale Senato della repubblica,
quindi non potrebbe comunque votare una mozione di sfiducia nei confronti del
Primo Ministro ne votaare un eventuale sostituzione.
Si prevede anche una riduzione complessiva del numero dei
parlamentari, 518 deputati prenderanno il posto degli attuali 630, 18 dei
quali eletti nelle circoscrizioni estere, mentre gli attuali 315 senatori,
eletti su base nazionale, saranno sostituiti da 252 senatori eletti
contestualmente ai rispettivi Consigli regionali, scelti tra i residenti
nella regione che abbiano già ricoperto pubbliche funzioni elettive.
E’ stabilita un’identica indennità, fissata per legge, per tutti i
parlamentari (deputati e senatori).
Non sono più previsti senatori a vita, sostituiti dalla nuova figura
dei "deputati a vita", previsti nel numero di tre di nomina presidenziale, ai
quali si aggiungono gli ex capi dello Stato.
Si interviene anche sull'età minima richiesta per l’elettorato
passivo, ridotta dagli attuali 25 a 21 anni per i deputati, mentre per i
senatori non sarà necessario aver raggiunto l’età di 40 anni ma l’età di 25
anni.
LA FIGURA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA DEVOLUTION
Attualmente l’art.87 della Costituzione recita: “Il Presidente
della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. …”,
con la riforma in discussione il nuovo testo dell’art.87 reciterà: “Il
Presidente della Repubblica è il capo dello Stato, rappresenta la nazione ed è
garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica. …”.
Con la devolution il nuovo Stato sara più federalista, almeno in
alcuni casi, ma non certo federale, anzi in alcuni casi si riafferma un certo
centralismo statale, come ad esempio con la reintroduzione del limite
dell’interesse nazionale alla produzione normativa regionale.
Il Presidente della Repubblica esce da questa riforma vincolato nel
potere di nomina del capo del governo e fortemente limitato per fare posto ad
un Primo Ministro molto forte, nelle cui mani sono riunite le attuali
prerogative presidenziali della nomina e revoca dei ministri, il potere di
autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge d’iniziativa del
governo e la facoltà di scioglimento della Camera dei deputati.
Con questo riforma sono riconosciute anche alcune nuove funzioni al
Capo dello Stato, ovvero la nomina dei presidenti delle Authority e la
designazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
Cambia anche l'età minima richiesta per accedere al Quirinale, che
scende a quarant'anni rispetto ai cinquanta previsti dalla vigente normativa.