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torna a Anni abbastanza crudeli
Inaugurazione
anno giudiziario 2002
I
punti principali delle critiche avanzate da Borrelli nella sua relazione:
***
DEMONIZZAZIONE. Il pg di Milano ha accusato "rappresentanti anche elevati
della classe politica" di avanzare "accuse generiche di parzialità"
alla magistratura "per poter demonizzare questo e quel magistrato o
collegio giudicante, magari poi attaccandolo con esposti o denunce". Il
tutto mediante "l'insistenza martellante degli imbonimenti
televisivi".
***
SCORTE. Nel criticare la riduzione delle scorte ai magistrati esposti a rischi
di incolumità personale "per vendette mafiose e/o rancori politici
sapientemente attizzati", Borrelli ha apertamente alluso al caso del pm
Ilda Boccassini e a Silvio Berlusconi sostenendo che sono state tolte
"proprio a quei magistrati, sì proprio a quelli, che sostengono l'accusa
contro il capo del governo".
***
CORRUZIONE POLITICA. Il pg di Milano respinge l'immagine di una "guerra
civile" dei magistrati contro le "elite poliche della prima
Repubblica". Queste elite, sostiene, si sono "affossate da sole"
nella "corruzione più sfacciata". Borrelli fa riferimento a questo
proposito a "pacchi intere di sentenze di condanna, spesso patteggiate in
seguito a confessione".
***
RIFORME PUNITIVE. Secondo Borrelli le riforme "annunciate o meglio
minacciate" hanno solo "trasparenti intenti punitivi" contro la
magistratura indipendente. In particolare l'ipotesi di separazione delle
carriere tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti, è considerata in
contraddizione con la tendenza delle scuole di specializzazione
post-universitarie dove "si punta su una formazione culturale comune tra le
varie categorie di operatori del diritto
Signor
Presidente, Signori Presidenti di sezione, Signori Consiglieri della Corte
d'Appello di Milano adunati in Assemblea Generale; Colleghi Sostituti
Procuratori Generali;
Signori Magistrati dei tribunali e delle procure della Repubblica del Distretto,
Signori Magistrati onorari, Signori Dirigenti, Funzionari, Impiegati dei vari
uffici giudiziari;
nell'accingerci
a celebrare la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 è doveroso
rivolgere anzitutto il nostro pensiero e il nostro ossequio al Presidente della
Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Presidente del Consiglio Superiore della
Magistratura, idealmente presente tra noi , instancabile cultore e animatore di
una coscienza civica che dall'ambito nazionale si allarga alla patria europea e
al mondo contro ogni particolarismo localistico; virtuale altissimo garante
della unità talvolta problematica tra i poteri dello Stato tutti promananti e
perciò legittimati, direttamente o mediatamente, dalla volontà del popolo
italiano;tutore dei meccanismi e dei valori del progetto democratico tracciato
nella Costituzione nata – lo si ricordi – dalla Resistenza contro il regime
del ventennio e dunque anche presidio di resistenza contro ogni altro regime
possibile o futuro;
esprimo,
come già nelle occasioni precedenti, la devota riconoscenza mia e del mondo
giudiziario del Distretto a Sua Eminenza il Cardinale Carlo Maria Martini, da
ventidue e vorremmo augurarci per molti anni ancora Arcivescovo di Milano, la
cui costante presenza alle cerimonie inaugurali riflette su queste una luce che,
al di là delle dimensioni tecnica e istituzionale, conferisce loro, o ne svela,
una valenza di più ampio respiro comunitario e spirituale;
ringrazio
altresì per la loro presenza il Vice Presidente del Parlamento Europeo On.Guido
Podestà, il Prefetto Dott.Bruno Ferrante, il Generale di Squadra Aerea Giulio
Mainini, Comandante della 1^ Regione Aerea e del Presidio Militare di Milano, il
Generale di Corpo d'Armata Mariano Ceniccola, Comandante Interregionale dei
Carabinieri “Pastrengo” , il Tenente Generale Bruno Viva, Comandante del
Corpo d'Armata di Reazione Rapida, il Generale di Corpo d'Armata Angelo Ferraro,
Comandante Interregionale della Guardia di Finanza,l'avv.Giovanni Di Cagno,
rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui è componente,
il Presidente Giovanni Schiavon, Capo dell'Ispettorato, in rappresentanza del
Ministero della Giustizia Presidente Schiavon, l'ultimo contatto della
magistratura milanese con un Capo di Ispettorato risale all'infausta èra
Mancuso: mi auguro vivamente che la Sua presenza oggi qui sia portatrice di un
messaggio alquanto diverso
porgo
il mio saluto, ancora, alla Vice Presidente della Giunta Regionale On.Viviana
Beccalossi, alla sempre deliziosamente gentile Presidente della Provincia On.
Ombretta Colli,al Vice Sindaco di Milano Sen.Riccardo De Corato, al Questore
Dott.Vincenzo Boncoraglio, al Presidente e all'intero Consiglio dell'Ordine
degli Avvocati di Milano, alle illustri Rappresentanze degli Ordini Forensi di
altri Paesi, ai numerosi Parlamentari presenti, al Presidente del Tribunale
Amministrativo Regionale, al Presidente della Sezione Giurisdizionale e al
Procuratore Regionale della Corte dei Conti, ai Magnifici Rettori delle
Università, ai Dirigenti delle articolazioni locali delle Amministrazioni dello
Stato, ai vertici delle Forze Armate e delle Polizie, ai rappresentanti della
cultura, del giornalismo, del mondo dell'economia;
porgo
il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, “alle loro maestà i cittadini”,
come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un
lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il
paludamento, ma a loro destinata.
Come
molti dei presenti già sanno, il limite di tempo assegnato al discorso del
procuratore generale non permette un consuntivo analitico degli eventi
giudiziariamente rilevanti né del lavoro svolto dai vari uffici. Per una meno
sommaria informazione rinvio i cortesi ascoltatori alla lettura delle relazioni
pubblicate nella seconda parte del volumetto oggi distribuito. Quanto alle
tabelle statistiche richiamo le consuete riserve e avvertenze circa le
incongruità derivabili dal non ancora completato assestamento interno dei dati
circa l'inevitabile divario tra i dati stessi, aventi carattere prettamente
giudiziario, e la realtà esterna, ben lungi dall'essere tutta visibile, o
ugualmente visibile, o tempestivamente visibile, nello specchio dell'attività
della magistratura. Per il Tribunale di Milano, peraltro, un Ufficio delle
Statistiche, recentemente costituito sotto la guida di un magistrato, sta
operando con esemplare cura una integrale revisione critica dei dati e delle
metodiche, che risulterà utilissima per i fini dell'organizzazione generale del
Tribunale stesso.
Per
ciò cheriguarda in generale il livello di funzionalità degli uffici,
l'osservazione rivela un ventaglio alquanto diversificato di situazioni locali.
Ma anche dove la pressione dei carichi civili e penali è molto rilevante in
rapporto alle risorse umane (Monza, afflitta da sempre da un forte squilibrio
tra l'entità della popolazione e gli organici dei magistrati e degli
amministrativi; Busto Arsizio, percossa dall'ondata di piena della criminalità
collegata allo scalo intercontinentale di Malpensa; Milano, dove la Procura
della Repubblica, anche a causa di scoperture di organico, è costretta agrossi
sforziper conciliare la presenza dei pubblici ministeri alle udienze fissate dal
Tribunale con le ordinarie attività di indagine), le situazioni vengono
fronteggiate dappertutto onorevolmente. Il bilancio globale si attesta su valori
di sostanziale equilibrio tra entrate e uscite, cioè tra nuove iscrizioni e
definizioni, sebbene il recupero di velocità e il raggiungimento dell'obiettivo
di una giustizia mediamente e non solo saltuariamente rapida, o almeno
ragionevole nei suoi tempi, siano ancora abbastanza problematici. La lentezza
dei processi davanti alle magistrature ordinarie, è, del resto, male comune a
molti Paesi anche europei, e forse in alcuni – secondo indicazioni provenienti
dal mondo dell'avvocatura – persino più grave che da noi.
In
qualche caso le statistiche ufficiali paiono delineare una diminuzione delle
pendenze vuoi civili che penali, che, se rispondente al vero, è foriera di
speranza nel progresso. Più di un capo di ufficio esprime valutazioni positive
circa gli effetti dell'unificazione dei giudici e dei pubblici ministeri di
prima istanza, dell'accresciuta area della competenza monocratica,
dell'aggregazione di giudici onorari alle sezioni civili stralcio, del più
frequente ricorso al rito penale abbreviato. Prosegue, per la Corte d'Appello,
un andamento positivo di riduzione delle pendenze sia civili che penali, donde
la legittima aspettativa di un miglioramento della situazione. Comune a tutti i
capi degli uffici è la lamentela per le scoperture, in alcuni casi scandalose,
negli organici del personale amministrativo, che vanificano in parte gli sforzi
dei magistrati, confondono i profili professionali e generano disordine quando
non autentici e gravi disservizi negli adempimenti che precedono e che seguono
l'udienza. Il problema ha una delle sue concause nell'esiguità della componente
settentrionale nelle leve degli amministrativi, e anche in una certa proclività
del Ministero della Giustizia a favorire il ritorno di dipendenti nei luoghi
d'origine dell'Italia centro-meridionale. Comunque possa valutarsi la situazione
del Distretto in termini oggettivi, mi preme porre in evidenza come da nessun
ufficio provengano manifestazioni di sconforto né opinioni di sconfitta, al
contrario rilevandosi in tutti, a cominciare dai capi, la ferma volontà di
risolvere ad ogni costo le difficoltà con l'impegno, il sacrificio,
l'intelligenza nell'ottimizzazione delle risorse disponibili. E' questo un dato
di carattere morale, ma con un suo riflesso pragmatico, che fa onore ai Colleghi
e alla civiltà lombarda di cui tutti, per nascita o per adozione, ci sentiamo
impregnati. Estremamente accurato è il controllo che il Consiglio Giudiziario,
in base alle minuziose circolari del Consiglio Superiore della Magistratura,
esercita sulle tabelle di composizione degli uffici , sulla distribuzione
interna del lavoro e su tutti i provvedimenti organizzativi dei capi,
nell'ottica di una continua rivisitazione dei criteri adottati per renderli
sempre meglio rispondenti alle esigenze della razionalità e dell'efficienza.
Particolare attenzione è stata dedicata negli ultimi tempi alla formazione
professionale sotto un triplice aspetto: la creazione, presso sedi accademiche,
delle scuole di specializzazione a partire da questo mese di gennaio per
laureati che aspirano alla magistratura, all'avvocatura o al notariato, sotto la
guida di docenti universitari, di professionisti e di magistrati; il tirocinio
degli uditori giudiziari senza funzioni, nonché dei giudici di pace di nuova
nomina; l'aggiornamento e l'arricchimento culturale, o formazione permanente, a
vantaggio di tutti i magistrati togati e onorari, con iniziative tra l'altro di
studio di tutte le più importanti leggi civili e penali di nuova emanazione. Di
tutte, non solo di alcune, come con calunniosa malevolenza è stato insinuato da
qualche parte. Analoghe, e molto ben concepite attività di formazione vengono
svolte da funzionari esperti presso la Scuola per la pubblica amministrazione a
vantaggio del personale amministrativo dei vari livelli.
Per
quanto riguarda in particolare la giustizia penale, vari procuratori della
Repubblica del Distretto addebitano genericamente al vigente codice di procedura
penale e alle recenti novelle (avviso della conclusione delle indagini
preliminari, indagini difensive, giusto processo, difesa d'ufficio, informazioni
sul diritto di difesa) la causa della lentezza dei procedimenti; mentre la
riforma del giudice unico e l'ampliamento della competenza monocratica ricevono
valutazioni negative per l'accresciuto numero di udienze che sottrae tempo alle
indagini, positive invece per l'incremento di produttività in termini di
sentenze. La posizione più ottimistica trova concordi vari presidenti di
tribunale, alcuni dei quali sottolineano il notevole aumento della quota di
definizioni con rito abbreviato e il deciso avvio di una fase di riduzione delle
pendenze (con l'esposizione peraltro di numeri non coincidenti con quelli
elaborati in sede ministeriale, ciò che ancora una volta consiglia cautela
nella valutazione delle statistiche).
Non
condivido, se non per aspetti particolari, l'atteggiamento critico e
sostanzialmente misoneista di chi indiscriminatamente deplora le novelle. Se
alcuni appesantimenti potevano ragionevolmente evitarsi, il nucleo delle
innovazioni, e principalmente il diritto alle investigazioni difensive, attua né
più né meno che la parità delle parti e costituisce mero sviluppo della
concezione accusatoria che ha informato il codice Pisapia Vassalli e alla quale
personalmente ho plaudito fin dall'inizio. E' da dire, piuttosto, che ogni
ampliamento di garanzie e/o di poteri deve essere utilizzato linearmente per gli
scopi cui il legislatore l'ha destinato, non distorto a danno del processo, del
giusto processo e del suo fine ultimo, e ciò non sarà possibile se non
accettando una deontologia professionale e una conduzione processuale a
tolleranza zero. Il codice civile conosce il divieto degli atti di emulazione.
Un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia
ogni esercizio di diritti all'interno del processo, che abbia come unico scopo
quello di nuocere o recare ritardo al processo stesso e renderne irragionevole
la durata: e mi astengo dal citare gli esempi, pur clamorosi, offerti da
esperienze in corso. Che dire poi del recente, soccorrevole tentativo di
sabotaggio di un processo, proveniente addirittura dall'esterno, da un elevato
livello esterno, sotto l'ingannevole specie dello scrupolo legalitario? Deve
aggiungersi che alcuni rallentamenti generati dalla riforma hanno riguardato i
dibattimenti già pendenti, per intuibili problemi di diritto intertemporale, ma
non dovrebbero condizionare più di tanto i tempi dei procedimenti, una volta
che le innovazioni siano state assimilate dagli operatori e i nuovi meccanismi
siano per così dire a regime.
L'apparato
della giustizia penale si è arricchito da pochi giorni di una nuova
articolazione, grazie all'entrata in vigore della legge che ha attribuito
un'area di competenza, appunto, penale al giudice di pace. A questo stuolo di
magistrati onorari, le cui benemerenze nel settore della giustizia civile si
rinnovano già da sei anni (un saluto specialmente grato voglio rivolgere a
quelli che conosco meglio, i giudici di pace di Milano, e alla loro
Coordinatrice), formulo gli auguri più fervidi per i loro nuovi compiti. La
sperimentazione di istituti quali la mediazione, la permanenza domiciliare, il
lavoro di pubblica utilità, l'esclusione della procedibilità nei casi di
particolare tenuità, l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie,
proporrà, ne sono sicuro, orizzonti alternativi agli arcaismi sanzionatori di
un diritto penale classico basato sulla retribuzione di un male commesso dal
singolo con l'inflizione di un male corrispettivo,talvolta peggiore, da parte
dello Stato.
In
ordine alla giustizia civile, le voci dei presidenti di tribunale sembrano
accordarsi su una nota di relativo ottimismo, giustificato da un supero più o
meno marcato del numero delle cause definite rispetto a quelle sopravvenute,
sicché in quasi tutte le sedi le pendenze risulterebbero in diminuzione. Le
relazioni dei capi degli uffici giudicanti, per vero, sono alquanto parche di
considerazioni sui temi della giustizia civile, anche per quegli aspetti che nel
divenire, nell'evolversi della legislazione dovrebbero destare più vivo
interesse negli operatori e curiosità negli osservatori. Fa eccezione la
relazione del Presidente del Tribunale di Monza, che, esaminando il processo
civile riformato, rileva come questo si caratterizzi per una più ordinata
sequenza delle varie fasi, con un risultato di accelerazione delle decisioni,
talvolta però ottenuto impropriamente con la “cautelarizzazione” del
processo. Il ricorso a strumenti anticipatori interni al processo sembra a quel
Presidente inadeguato a scopi deflattivi, e in generale ad abbreviare
apprezzabilmente i tempi di gestione delle cause civili. Le sezioni stralcio
esauriranno ovunque i propri ruoli entro il quinquennio previsto. Il
funzionamento dei giudici di pace – peraltro non dappertutto a ranghi completi
– è valutato positivamente. Sul piano dell'effettività, le esecuzioni civili
lasciano molto a desiderare; ma non può non porsi in evidenza, con alta lode,
la riorganizzazione delle esecuzioni immobiliari studiata e attuata dal
Tribunale di Monza secondo un modello che è stato pubblicamente illustrato in
un convegno della scorsa primavera e al quale si ispireranno altri tribunali del
Paese.
Una
menzione particolare spetta al funzionamento della giustizia nel campo minorile.
Preme a questa Procura Generale segnalare l'impegno qualitativamente e
quantitativamente cospicuo, secondo una tradizione consolidata da parecchi
decenni, del Tribunale e della Procura della Repubblica per i Minorenni nei
compiti di estrema delicatezza e formidabile rilevanza umana e civica attribuiti
loro dall'ordinamento. Tale impegno è rispecchiato non soltanto dall'oggettività
del lavoro svolto, che, si badi, possiede una valenza virtuale oltrepassante i
confini del settore specifico con la sperimentazione di alcuni istituti
suscettibili di transitare utilmente dal laboratorio minorile al mondo della
giustizia per gli adulti. E' rispecchiato anche dalla pregevole completezza
delle relazioni che i capi dei due uffici hanno elaborato, dall'accorata,
generosa partecipazione etica ed emotiva che gli autori hanno posto in tali
documenti nell'affrontare le vaste problematiche della loro attività
quotidiana, dall'ampiezza degli orizzonti strategici delineati, in definitiva
dalla fortissima vocazione professionale che ne traspare.
Le
difficoltà che la giustizia minorile incontra provengono dalle caratteristiche
di un contesto sociale, di estensione distrettuale, in cui l'attenzione alla
condizione dell'infanzia e in genere dell'età evolutiva deve abbracciare uno
spettro che va dalla povertà avventurosa e spaesata delle famiglie degli
immigrati alle isole esclusive dei clan nomadi, dalle aree anarcoidi e violente
delle periferie urbane agli ambienti delle famiglie più o meno, ma neppure
sempre in crisi, appartenenti alle fasce piccolo-medio-borghesi della società,
e talvolta alto-borghesi. Il denominatore comune – generatore del disagio
donde nascono devianze, sofferenze, conflitti – è rappresentato dalla carenza
di un'autentica cultura dell'infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a
volte frutto di disattenzione, spesso causata dall'incapacità negli adulti di
trasmettere valori che si discostino dall'ideologia di un'identità cercata,
secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell'avere piuttosto che
nell'essere. Nel settore minorile penale il rito attuale consente un più utile
approccio al minore deviante, con il grave limite delle barriere culturali e
linguistiche che rendono ardua la comunicazione verso i numerosissimi minorenni
stranieri ; occorrerebbe tuttavia snellire la fase davanti al giudice
dell'udienza preliminare e consentire a questo di pronunziare proscioglimenti
per irrilevanza dei fatti o condanne fino a un tetto di pena da stabilirsi. In
ordine alle strutture di custodia e di riabilitazione sono da rimarcarsi l'incapienza
ormai conclamata dell'istituto Cesare Beccaria, l'insufficienza degli addetti
alla rieducazione e, nonostante l'apporto ausiliario notevolissimo di un
volontariato caratterizzato da impegno e abnegazione, ma con frequenti
disomogeneità nei moduli operativi, la carenza di strutture comunitarie di
accoglienza che siano attrezzate per efficaci percorsi di riabilitazione e
rieducazione. Giudizi positivi sono da formularsi in ordine all'istituto della
messa alla prova del giudicando, in ordine alla pratica della mediazione penale
(già commentata favorevolmente nella relazione dell'anno scorso) e al
funzionamento della struttura di pronto intervento minorile, interamente
affidata a laici. I problemi dell'adozione e dell'affidamento sono spesso
sollevati dai media, ma per lo più con distorsioni finalizzate a mozioni
affettive di dubbia lega, che talvolta privilegiano una sorta di diritto
proprietario sul minore legato al sangue, talaltra l'aspirazione genitoriale
delle coppie sterili, talaltra ancora gli investimenti affettivi dell'adulto:
ben raramente valutandosi le situazioni con il criterio, enunciato a parole,
della centralità dell'interesse del minore. La pendenza di procedimenti per
dichiarazioni di adottabilità è notevolmente calata, sia per un aumento di
produttività dell'Ufficio, sia perché è in generale migliorata l'assistenza
alle famiglie in difficoltà e perché, al di fuori dei casi di pregiudizio
irreversibile, si preferisce ricorrere all'istituto dell'affidamento, del quale
tuttavia non sarà mai abbastanza sottolineata la temporaneità legata alla
congiuntura familiare.
La
carrellata sul funzionamento degli uffici del Distretto non potrebbe chiudersi
senza la menzione più che lodevole dell'attività del Tribunale di
Sorveglianza, intorno a cui nella primavera scorsa erano state suscitate
polemiche abbastanza pretestuose e non del tutto limpide, paradossalmente in
coincidenza con il pressoché totale riassorbimento dell'arretrato. Il Tribunale
di Sorveglianza, nonostante l'inadeguatezza del suo organico anche in paragone
con altri uffici omologhi, con un poderoso sforzo lavorativo ha definito tra
l'ottobre 1999 e il giugno 2001 ben 31.501 procedimenti, riducendo la pendenza a
5390 numeri, pari a un terzo circa delle sopravvenienze annuali. E non vi è chi
non comprenda quanto la messa a regime giovi agli interessi stessi dei detenuti
sotto il profilo della sollecitudine nell'esame dei loro ricorsi.
Sulla
situazione delle carceri la relazione del Provveditore Regionale, ricca di
interessanti spunti, segnala problemi vecchi e nuovi, aggravatisi recentemente,
di sovraffollamento e di continue urgenze di smistamento; difficoltà
conseguenti nelle attività trattamentali, tra l'altro non sempre coordinate
progettualmente; ombre e più rare luci sul piano della medicina penitenziaria;
obsolescenze e rifacimenti delle strutture edilizie, nonché progetti di nuove
costruzioni; carenze di personale civile e di Polizia penitenziaria; condizioni
di disagio della popolazione detenuta, con un numero non indifferente di gesti
suicidari e di decessi per malattia. Al quale proposito non mi stancherò di
stigmatizzare come medievali la realtà e la sottostante, latente ideologia di
un sistema custodiale che alla privazione della libertà personale aggiunge
quote indebite di sofferenza psichica e fisica talvolta degradanti per i
reclusi; a maggior ragione, la drammatica, assoluta intollerabilità di una
siffatta condizione per i ristretti in custodia cautelare. La Casa ex
mandamentale di Tirano è tuttora chiusa, mentre potrebbe utilmente adibirsi a
sezione femminile della Casa Circondariale di Sondrio, e troppo prolungate
paiono le chiusure per ristrutturazione della Casa Circondariale di Lecco e del
terzo reparto della Casa Circondariale di Milano. Ispirata a modernissimi
criteri è la nuova struttura di Bollate, finalmente entrata in funzione, dotata
di una capienza ottimale di oltre ottocento posti e utilizzata al momento per
circa cinquecento detenuti. Altissime a Milano le percentuali dei detenuti
stranieri (oltre il 50%) e dei detenuti per violazione della disciplina degli
stupefacenti (oltre il 40%).
Per
quanto riguarda le tipologie della casistica transitata attraverso i
meccanismi giudiziari, nel campo civile viene riscontrato in tutto il
Distretto un aumento del contenzioso lavoristico e previdenziale, in parte
dovuto all'affluenza di cause attinenti al rapporto di pubblico impiego passate
in tempi recenti alla competenza del giudice ordinario. Pesante è tuttora il
contenzioso in materia di locazioni, sebbene mostri varianti legate a situazioni
particolari di disponibilità di alloggi sul mercato e a fattori socio-economici
non uniformi nelle province. Un complessivo incremento si registra nei numeri
delle cause di separazione e di divorzio. Stabile nell'insieme, nonostante un
picco occasionale nel Circondario di Lecco e un aumento del 10% in quello di
Monza, è il panorama delle dichiarazioni di fallimento. Nei restanti settori
non vengono segnalate variazioni che caratterizzino il periodo in esame rispetto
agli anni precedenti.
Con
riferimento al campo penale mi limito a toccare alcuni argomenti
(criminalità minorile, delitti politici, mafia, reati contro la pubblica
amministrazione, reati sessuali), rinviando per il resto alla lettura della
seconda parte del volumetto.
La
criminalità minorile appare preoccupante non tanto per il numero dei
procedimenti, che è diminuito, quanto per la natura e la qualità dei reati –
spaccio di stupefacenti, rapina, offesa alla persona, violenza sessuale – con
apporto non trascurabile alle statistiche da parte di rampolli di classi
abbienti, totalmente insensibili verso il problema della legalità; né ciò
stupisce, considerando l'inclinazione, diffusa con diverse connotazioni in
diversi strati sociali e facilmente penetrabile nella mente dei giovani, ad
interpretare la libertà come franchigia personale da ogni regola.
Sulla
criminalità politica, risparmiando all'uditorio ogni riflessione tragicamente
ovvia sui fatti che hanno sconvolto il mondo nel settembre scorso, segnalo una
indagine, sviluppatasi a Milano e in parte a Busto Arsizio tra il 2000 e il 2001
sul terrorismo internazionale di matrice islamica, che ha comportato diciassette
provvedimenti di cattura, ha svelato l'esistenza di un'organizzazione per
procurare supporti (reclutamento, ospitalità, documenti falsi, armi) ad attività
terroristiche da compiersi non in Italia, ma fuori, più recentemente si è
indirizzata sulla ricerca dei probabili flussi di finanziamento. Una seconda
indagine riguarda gesta di matrice eversiva anarchica (ordigni esplosivi contro
la Stazione Carabinieri di Milano Musocco, contro l'Ente Ellenico per il
Turismo, contro la Basilica di Sant'Ambrogio, contro il Duomo di Milano) da
attribuirsi a un movimento con obiettivi transnazionali greco-italo-spagnoli.
Una terza indagine punta su un gruppo che si denomina NIPR (Nuclei Iniziativa
Proletaria Rivoluzionaria), forse è collegato con gli autori dell'omicidio
D'Antona, produce molto materiale ideologico ed è indiziato di attentati
incendiari. Su tutt'altro piano si colloca il procedimento instaurato contro
promotori e componenti della Guardia Nazionale Padana per violazione del divieto
di associazioni a carattere militare, conclusosi a Busto Arsizio con
un'assoluzione piena recentissimamente confermata dalla Corte d'Appello.
La
Direzione Distrettuale Antimafia fa notare una drastica contrazione delle
iscrizioni di procedimenti per associazione di stampo mafioso (soltanto quattro
nel periodo), che trionfalisticamente potrebbe interpretarsi come frutto
dell'intenso lavoro degli anni scorsi, più realisticamente come diminuita
percezione di un fenomeno in ripresa (e indizi ve ne sarebbero) conseguenza
della parallela, drastica contrazione nel numero dei collaboratori di giustizia,
disincentivati da convergenti fattori: le reazioni violente anche trasversali
delle organizzazioni criminali, l'atteggiamento genericamente sfavorevole di
ampi settori della classe politica, la delusione provata dai collaboratori, e
quindi lo scoraggiamento di altri, per le difficoltà e i ritardi
nell'approvazione dei programmi di protezione, quanto dire per il mancato
adempimento degli impegni da parte dello Stato, infine il varo della nuova
normativa sull'argomento.Donde grossi problemi nelle indagini venendo meno la
possibilità di conoscere le associazioni dal loro interno e i canali del
riciclaggio, per non parlare dei problemi derivanti dai progressi della
tecnologia al servizio del crimine non sempre neutralizzabili con prontezza, dai
tempi impiegati perché le segnalazioni di operazioni bancarie sospette giungano
alle procure, infine di quelli derivabili da malintese applicazioni della nuova
legge sulle rogatorie. Nell'area di competenza della Direzione Antimafia, com'è
noto, rientrano anche le associazioni comunque dedite al traffico di
stupefacenti, e le iscrizioni dei relativi procedimenti nel periodo considerato
sono aumentate ben dell'80% rispetto all'anno precedente. Numerose le
associazioni composte da stranieri (slavi, albanesi, maghrebini, colombiani,
europei dell'est e del nord-est) che non solo importano la droga, ma spesso la
distribuiscono anche, soppiantando in qualche luogo le organizzazioni facenti
capo alle famiglie mafiose storiche italiane; le quali,tutt'altro che in
ritirata, gestiscono a loro volta – specie gruppi pugliesi e campani –
percorsi di introduzione congiunta e di distribuzione di tabacchi di
contrabbando, droghe e armi, con manodopera anche straniera (bulgari, ungheresi,
cechi, slovacchi). Gruppi calabresi, poi, e latitanti rifugiatisi in Spagna,
controllano gli stupefacenti provenienti dai paesi arabi e dall'America Latina,
nonché le droghe tipo exstasy in arrivo da Belgio, Olanda e nord-Europa.
Frequente è il ritorno di ex-carcerati ai loro traffici di elezione, non di
rado, peraltro, gestiti addirittura da detenuti. I sequestri di persona a scopo
di estorsione sono scomparsi dal nostro territorio, salvo episodi marginali
verificatisi entro l'ambito della comunità cinese in connessione con il
fenomeno dell'immigrazione clandestina. Numerosi giudizi sono stati celebrati a
conclusione di indagini promosse dalla Direzione Antimafia in anni passati e
l'esito ne è stato costantemente positivo, con condanne della grande
maggioranza degli imputati e confische di beni per svariati miliardi di lire. In
tema di criminalità organizzata non propriamente mafiosa, sebbene facente capo
a personaggi di clan calabresi o siciliani legati a mafie storiche, ovvero a
gruppi albanesi, giungono preoccupate segnalazioni dai circondari di Busto
Arsizio, di Monza, di Como: estorsioni, traffico di stupefacenti e di armi,
immigrazione clandestina, traffico di esseri umani, induzione alla
prostituzione, contrabbando, riciclaggio, recupero di crediti, esportazione di
autoveicoli rubati.
Passando
ai reati contro la pubblica amministrazione, è ormai la terza o quarta
occasione annuale in cui le procure della Repubblica osservano come la
modificazione della norma sull'abuso d'ufficio, restringendo notevolmente l'area
concettuale di tale reato – che consentiva l'innesco di indagini spesso
evolventi nell'accertamento di corruzioni o concussioni – abbia sottratto un
valido strumento per portare alla luce i casi di malamministrazione, donde una
flessione nelle iscrizioni, ma certamente non nella perpetrazione (per gli
indizi che se ne colgono) di delitti di mercimonio delle funzioni pubbliche. Si
tratta di reati ben raramente o quasi mai rapportati dalle polizie, scarsamente
attrezzate per agire d'iniziativa e comprensibilmente guardinghe verso settori
della pubblica amministrazione che potrebbero trovarsi sotto il patronato di
parti politiche, mentre ben diverso è il modo in cui può muoversi la
magistratura, almeno finora, e diversi e più sofisticati sono i canali
attraverso cui gli episodi possono emergere agli occhi dei pubblici ministeri.
Sempre alta, peraltro, è la domanda di giustizia che nel settore si leva dai
destinatari passivi dell'azione amministrativa, come documentato dal profluvio
di esposti concepiti per lo più sul solo fondamento emotivo della scontentezza
del cittadino per questo o quel provvedimento o comportamento del pubblico
funzionario, ma senza basi giuridicamente apprezzabili per ipotizzare reati,
sicché vi è un gran numero di archiviazioni immediate. E sempre alta, checché
scrivano i giornali da anni a questa parte sulla “fine di mani pulite”, è
l'attenzione delle procure sui fatti di corruzione, nonostante l'insofferenza
degli ambienti volta a volta toccati dalle indagini. Meritoriamente sollecita,
davanti al Tribunale di Milano che ha destinato due sezioni penali a tale
materia, è divenuta la fissazione dei dibattimenti, con una favorevole
ripercussione nell'aumento delle definizioni con riti alternativi e nella
prevenzione dei troppo brevi termini di prescrizione. Sull'innovazione
riguardante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli
enti per i reati commessi dai loro rappresentanti – che ha allineato la
legislazione italiana a quella di altri Paesi e che, di fronte a fatti
oggettivamente tangibili, avrà almeno il merito di restringere il margine
elusivo dei palleggiamenti di riferibilità tra amministratori e funzionari
degli enti coinvolti – mancano, allo stato, dati di esperienza che permettano
di formularne una valutazione realistica.
Nella
maggior parte dei circondari le iscrizioni per reati di violenza sessuale
risultano in aumento, con qualche sottolineatura per quelli che si verificano in
ambiente familiare; ma non è facile stabilire se ciò sia dovuto a un
incremento reale, peraltro tutto da spiegare, del fenomeno criminoso, o non
piuttosto a un'acuita sensibilità verso lo stesso e alla caduta di remore
culturali che in passato si frapponevano alle denunzie. Il campo è
delicatissimo, e un'irruzione rozza e incontrollata nelle singole vicende
rischia di compromettere irrimediabilmente il risultato di verità che ci si
attende dalle indagini. Per i fini di un'efficace prevenzione, ma anche di
un'investigazione seria, sagace e sensibile sulle notizie di reato o sulle
situazioni sospette, occorrono una raffinata preparazione professionale degli
addetti ai servizi sociali, una formazione possibilmente specifica dei referenti
di polizia giudiziaria, una particolare organizzazione del primo intervento
sulle vittime sotto il profilo psicologico e sotto quello medico-legale,
un'attenzione instancabile volta a neutralizzare durante le indagini e nel
giudizio tutti i fattori possibili di turbamento e distorsione delle fonti
d'informazione, e quando negli episodi sono coinvolti minorenni un coordinamento
incondizionato con l'autorità giudiziaria minorile. Alla Procura della
Repubblica di Milano, e specificamente al magistrato che in essa da più lungo
tempo si occupa della materia, spetta il merito di aver messo a fuoco questi
problemi e di essersi prodigata da anni per migliorare culturalmente –
contribuendo anche a incontri di studio promossi dal Consiglio Superiore – e
organizzativamente gli strumenti di intervento. Il fenomeno della pedofilia è
estremamente insidioso perché, a parte gli aspetti brutali di certo disgustoso
turismo geografico o elettronico, talvolta germoglia in contesti ambigui dove la
vocazione socialmente apprezzata a curarsi di fanciulli e giovinetti si mescola
con inclinazioni meno confessabili, o magari se ne nutre. E la sua si manifesta
anche nelle velenose polemiche giornalisticamente sostenute che in determinate
occasioni si sono sviluppate attorno a iniziative giudiziarie; quasi che, di
fronte a un conclamato allarme su scala mondiale, la morbosità viziosa stia
dalla parte degli inquirenti e mai dalla parte degli inquisiti. E' appena il
caso di ricordare che le azioni penali, esercitate dalla Procura milanese per
reati sessuali, in percentuale altissima (intorno al 90%) si sono tradotte in
condanne in sede di giudizio. Ma a proposito degli inquisiti per pedofilia si è
acutamente osservato che l'inoppugnabilità di certe identificazioni documentate
informaticamente provoca in loro una crisi di vergogna assai più violenta e
destabilizzante di quel che non accada quando solo la parola di un bambino si
opponga alla parola dell'adulto. Crisi che in qualche caso è sfociata in
suicidio: di qui la necessità di provvedere a interventi di sostegno
psico-terapeutico anche sugli autori dei reati.
Mi
consentirà il Presidente di spingermi un po' oltre il limite prefissato. Un
discorso sull'amministrazione della Giustizia non può oggi, non potrebbe mai,
senza rinunziare a una dimensione civica, a una dimensione etica, attestarsi
dietro la barriera tecnica dell'esistente e ignorare gli scenari, le negatività,
le possibilità, le probabilità, le doverosità che sull'oggi incombono e che
evocano le alternative del domani. Non c'è dubbio che la giustizia, come
servizio che il cittadino si attende, sia tuttora in crisi, quantunque
l'individuazione delle reali cause prime in un dominio della realtà così
complicato e complesso sia difficile e opinabile, per la non linearità dei
processi di interazione che può far interpretare come causali nessi che sono
soltanto di correlazione, o farne fraintendere la freccia di direzione.
L'operatore del diritto, d'altronde, può indicare all'interno del sottosistema
questo o quell'elemento negativo, ma le vere cause delle modalità di
funzionamento, o di disfunzionamento, della macchina risiedono spesso
all'esterno, e forse occorrerebbe chiedere a economisti e sociologi se la
miastenia della giustizia, in quanto persistente, non sia per avventura
funzionale a determinati interessi, e a quali.Ma è crisi solo quantitativa, di
tempi e di produttività, oanche qualitativa? E' pura e semplice insufficienza
di risorse? E' inadeguatezza culturale degli operatori? Si è per avventura
generato un contesto che ha gradualmente marginalizzato la giustizia, quale fino
ad oggi l'abbiamo intesa? Il prestigio della magistratura, diciamolo, è scaduto
agli occhi dell'utente, l'imparzialità viene più sovente posta in dubbio, le
competenze in campi specialistici a volte difettano, le oscillazioni
giurisprudenziali sottraggono certezza e quindi valenza al diritto, i gradi di
giudizio si moltiplicano anche per effetto di frequenti irruzioni della Corte di
Cassazione nel merito fattuale delle vicende, il rapporto tra operatori e utenti
è deteriorato, talvolta, per difetti di comunicazione e perciò di comprensione
tra il mondo della giustizia e il mondo esterno. A monte di ciò, abbiamo una
iper-normazione all'inseguimento spasmodico del mito della completezza
dell'ordinamento, laddove sarebbe saggio arretrare su una legislazione per
principi piuttosto che per regole e regolette; una distribuzione e
organizzazione delle risorse umane e strumentali sul territorio e talvolta negli
uffici che qualche volta accontenta campanilismi o clientele, ma non risponde a
criteri di razionalità ed economicità; la deresponsabilizzazione dei capi,
peraltro raramente preparati al loro compito quantunque valorosi come giuristi,
per la frammentazione delle filiere di acquisizione dei mezzi operativi, forniti
da una pluralità di centri di potere esterni, e per la minuziosità – lo dico
ancora una volta – con cui il Consiglio Superiore tende a imbrigliare le loro
scelte; la persistente tentazione nei giudici di trasformare il senso
dell'indipendenza in monadica autoreferenzialità e la venerazione del diritto
come valore assoluto nel momento dell' applicazione al caso concreto a
prescindere da fattori di tempo e di contesto suscettibili di mutare,
nell'effettività, il diritto nel suo contrario; il carattere antiquato delle
procedure di reclutamento dei magistrati; la scarsa sensibilità manageriale non
solo di capi e semi-capi, ma anche di singoli giudici nella gestione del proprio
carico di lavoro; l'ipertrofia delle motivazioni che allunga i tempi di
confezione e poi di lettura dei documenti decisori e ne aumenta la vulnerabilità.
Di tali aspetti negativi, e della non riducibilità della crisi a un fatto di
insufficienza numerica degli organici (ben difficilmente dilatabili nella
magistratura, coeteris paribus, fino a sanarla), si va prendendo
coscienza nell'ambito dell'ordine giudiziario. L'impegno per la modernizzazione
della cultura del giudice – sotto il profilo di un management degli
uffici, dei flussi, dei singoli casi, che sia basato sulla prestazione (performance-based)
– nonché per una fruttuosa utilizzazione dei mezzi telematici e informatici e
per un arricchimento continuo della formazione professionale va ormai
profilandosi almeno nelle enunciazioni programmatiche, e qualche timido segno di
miglioramento, come si è accennato, comincia a cogliersi nelle statistiche
della giustizia civile: purché la spinta alla modernizzazione, per le mani di
chierici di recente ordinazione, non scivoli verso concezioni aziendalistiche e
produttivistiche che con la giustizia, come con l'insegnamento, come con la
sanità pubblica, ben poco hanno da spartire.
Ma
basterà?
La
qualità del servizio giustizia reso ai cittadini dipende certo dal livello
intellettuale, professionale, morale degli appartenenti all'ordine giudiziario,
tuttavia dipende in pari misura dalla capacità e volontà negli altri poteri di
fornire alla magistratura gli strumenti necessari per garantirne l'indipendenza
e l'efficacia di azione, e dal clima di fiducia e di rispetto che il contesto
crea attorno ad essa nella comunità nazionale, oggi anche in quella
internazionale. Non sembra che gli scenari attuali giustifichino, in linea
generale, valutazioni ottimistiche, non foss'altro per il continuo parlare e
scrivere di riforme della giustizia, quando in realtà il nostro mondo, dopo
aver attraversato una stagione di incisivi cambiamenti ordinamentali e
processuali, avrebbe bisogno semmai di una fase di assestamento ermeneutico e
non del preannunzio di ulteriori scosse telluriche, con il senso di precarietà,
di disimpegno, di protratta incertezza che ne può derivare.
Ma
c'è dell'altro. Le riforme annunciate, meglio minacciate ad ogni pie' sospinto
con trasparenti intenti punitivi verso una magistratura certamente non al
massimo dell'efficienza ma altrettanto certamente indipendente, ben poco hanno a
che fare con l'efficienza. Si parla di separazione delle carriere –più
blandamente, ma ingannevolmente, delle funzioni – tra requirenti e giudicanti,
proprio mentre con le scuole postuniversitarie di specializzazione si punta su
una formazione culturale comune tra varie categorie di operatori del diritto e
con l'ampliamento della giurisdizione onoraria si aprono occasioni di osmosi tra
il mondo forense e quello giudiziario. Una scelta, la separazione, che , se
motivata dalla temuta arrendevolezza dei giudici ai pubblici ministeri (ma non
si citano, a disdoro di questi ultimi, proprio le alte percentuali delle
assoluzioni?) dovrebbe almeno essere supportata da studi sul campo e da
monitoraggi; ma che, per ferrea analogia, dovrebbe portare a maggior ragione
verso la separazione delle carriere tra giudici di primo grado, giudici del
riesame, giudici di appello, giudici di legittimità. Se motivata invece
dall'intenzione di vincolare il pubblico ministero all'esecutivo, come con
ingenua imprudenza si è fatto capire in Parlamento, vulnererebbe indirettamente
la stessa indipendenza del giudice penale e la signoria della legge, tanto più
quando si realizzassero anche la ventilata distinzione organizzativa e
funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, e la formulazione
di direttive di priorità nell'esercizio dell'azione penale: direttive che non
potrebbero non essere politicamente connotate, peggio, demagogicamente ispirate
ed enfatizzate, come già sembra di percepire in dichiarazioni d'intenti e
dibattiti artatamente centrati su temi quali la prostituzione, la criminalità
degli extracomunitari, i furti in appartamenti, mentre gradualmente escono dal
fuoco dell'attenzione la trasparenza nelle attività economiche (vedasi la
rapidità con cui, a vantaggio di interessi ben individuabili, si va
smantellando il presidio penale della veridicità dei bilanci), la criminalità
mafiosa, gl'intrecci tra affarismo e politica, il riciclaggio, quei temi cioè
che meno visibilmente ma più intrinsecamente qualificano il livello di legalità
proprio di un paese.
Si
afferma, ancora, la necessità di combattere il crimine transnazionale senza
l'impaccio delle frontiere, ma di fatto allo spazio giuridico europeo si è
tentato, per fortuna con mezzi tecnicamente inidonei, di frapporre ostacoli, con
la legge sulle rogatorie, e con le riserve unilaterali all'estradizione
semplificata – alias mandato di arresto europeo – e l'orchestrazione
dicampagne di rabbiosa disinformazione. Si parla di riforma del sistema
elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, spacciando la
soppressione delle liste concorrenti come beneficostrumento per emarginare le
formazioni interne all'Associazione Nazionale Magistrati, e si ignorano i ricchi
fermenti di riflessione che tutte questehanno immesso nella vita della
magistratura, soprattutto si apre la strada a pratiche occulte di intesa per il
coagulo di voti su candidature di fatto.
Di
altri fenomeni di questa sconcertata fase della nostra civiltà giuridica deve
pur farsi menzione. Le accuse generiche di parzialità preconcette, formulate
contro i giudici, con l'insistenza martellante degli imbonimenti televisivi, da
rappresentanti anche elevati della classe politica; l'analfabetismo
storiografico che ha indotto qualcuno a lanciare come anatema contro i
magistrati la parola “giustizialismo”, che nel secolo XX ha indicato una
certa ideologia di destra basata sull'interclassismo e su un populismo
demagogico dominato dal ruolo carismatico del capo; la manipolazione della
pubblica opinione italiana e straniera, cui uffici giudiziari vengono indicati
con il pronto e prono ausilio di media come centrali rivoluzionarie
promotrici di complotti internazionali o come falsificatori di documenti
(qualcuno ha rievocato recentemente il calunniato “pretore rosso” di
fascistica memoria, del quale parlava il mio maestro Piero Calamandrei
nell'Elogio dei giudici; ma già Adamo Smith, centocinquant'anni prima,
osservava che chi contrasta gli affaristi legati al potere politico si espone ad
accuse infamanti, ingiurie, minacce); la reinvenzione della storia giudiziaria,
quando pacchi interi di sentenze di condanna, spesso patteggiate a séguito di
confessione, vengono attribuiti a una guerra civile condotta da magistrati
contro élites politiche della prima Repubblica affossatesi in realtà da
sole, tra l'esecrazione anche di molti odierni convertiti, nelle sabbie mobili
della corruzione più sfacciata (ma forse la sentenza della Corte di Strasburgo
sul caso Craxi è già stata dimenticata); la minaccia di provvedimenti
disciplinari contro magistrati che esprimono su problemi generali e tecnici il
proprio libero pensiero di cittadini e di esperti; la volgarizzazione di
questioni giuridiche – costituzionali e procedurali – per slogan
gridati, con voluta ignoranza dei reali contenuti di testi normativi, sentenze,
ordinanze, anche da parte di firme autorevoli del giornalismo, per poter
demonizzare questo o quel magistrato o collegio giudicante magari poi
attaccandolo con esposti o denunzie; la riduzione infine delle protezioni a
magistrati esposti a rischi di incolumità personale per vendette mafiose e/o
per rancori politici sapientemente attizzati, conseguente, come è accaduto a
Milano, a irremovibili determinazioni che da un vertice, o dal vertice, sono
discese per li rami dell'obbediente burocrazia. (Alludo, sì, alludo alla
riduzione o soppressione della protezione nei confronti di alcuni pubblici
ministeri, che per caso, per puro caso, sono gli stessi che sostengono l'accusa
contro il Capo del Governo). Bene, tutto ciò procede in direzione
esattamente opposta alla valorizzazione del ruolo del magistrato come scudo
della legalità, opposta alla cultura della fiducia nei meccanismi talora
laboriosi e complicati per la ricerca della verità, opposta al mantenimento di
un clima di serenità che permetta al giudice di operare senza timori e senza
aspettative personali, opposta alla solidale unità delle istituzioni cui tanto
spesso esortava il mio illustre predecessore Adolfo Beria di Argentine.
Questo
non è un discorso di conservazione.
Nessuna
istituzione, lo so bene, nessun principio, nessuna regola sfugge ai
condizionamenti storici e dunque all'obsolescenza, nessun cambiamento deve
suscitare scandalo.Purché sia assistito dalla razionalità e purché il
diritto, inteso come categoria del pensiero e dell'azione, non subisca
sopraffazione dagli interessi. Ma ai guasti di un pericoloso sgretolamento della
volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso
del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della
collettività “resistere, resistere, resistere” come su una irrinunciabile
linea del Piave.
Ringrazio
il Signor Presidente e l'inclito uditorio per avermi prestato così prolungata
attenzione e chiedo, con una personalissima nota di profonda commozione, che
venga dichiarato aperto per il Distretto di Milano l'anno giudiziario 2002.