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28.06.2002
Il piano degli incappucciati
di Antonio
Padellaro
Si sta cercando la demolizione sistematica e premeditata
della figura di Sergio Cofferati. Questo giornale lo scrive da quattro giorni,
quattro articoli in prima pagina sul piano di annientamento della Cgil e del suo
segretario. Orchestrato da tre ministri, con il supporto tecnico di un
quotidiano fiancheggiatore, e la base logistica di Forza Italia. Dopodiché un
comunicato di Palazzo Chigi ha provveduto a farci sapere che l’«Unità» «così
non può continuare». Un messaggio che, considerata la fonte, e in giorni color
piombo come questi, va tenuto in serissima considerazione. Adesso però spuntano
le cinque lettere di Marco Biagi.
Tutta la nostra solidarietà
alla famiglia del professore assassinato. Non deve essere facile per la moglie,
per i ragazzi, che trascorsi più di tre mesi ancora nulla, ma proprio nulla,
sanno dei killer del proprio marito e padre. Non deve essere facile, in quello
stato d’animo, sentirsi trascinati in un’operazione dai «contorni oscuri»
(l’espressione è della famiglia). Che angoscia devono aver provato a
rileggere quelle disperate invocazioni di aiuto, spedite dal 15 luglio al 23
settembre 2001, al presidente della Camera Casini, al ministro Maroni, al
sottosegretario Sacconi, al prefetto di Bologna Iovino, al direttore di
Confindustria Parisi. Che pena, per loro, venire a sapere che della necessità
di ripristinare la scorta al professor Biagi, la cui sicurezza era in pericolo,
Casini ne aveva subito parlato con il capo della Polizia De Gennaro. Oggi la
vedova e i figli di Biagi, si chiederanno sgomenti: ma allora perchè il
ministro degli Interni Scajola dichiarò in Parlamento che nulla aveva saputo?
Speriamo di conoscere presto
l’identità del trafugatore delle lettere. Per ora dobbiamo accontentarci
degli indovinelli del direttore di «Zero in condotta», il quindicinale
dell’area No global, a cui si deve il clamoroso scoop. Valerio Monteventi,
consigliere di Rifondazione comunista, dopo un passato nel movimento bolognese
del ‘77, ci ha fatto sapere che è «una fonte locale, che non viene da Roma né
da qualche altra parte». Molto interessante. Scriviamo trafugatore perché il
Monteventi esclude che sia un parente di Biagi o un suo amico. Allora è lecito
pensare che quelle lettere se le sia procurate chissà come, frugando chissà
dove. Un trafugatore anonimo, dunque, uno che agisce con il cappuccio calato sul
volto e manda avanti l’ex movimentista, il quale vive il suo quarto d’ora di
celebrità giocando a rimpiattino con i giornalisti.
In questo ambiente trasparente e
cristallino, esce fuori il nome di Sergio Cofferati che «minaccia» Biagi.
Scrive il professore a Parisi della Confindustria: «Non vorrei che le minacce
di Cofferati fossero strumentalizzate da qualche criminale». Ma questa frase
compare nella e- mail in possesso di Parisi, non in quella trafugata. Il
direttore di «Zero in condotta» fa capire che la cancellazione si deve al
socio incappucciato, assai preoccupato, guarda un po’, che ne potesse derivare
una cattiva pubblicità per il leader della Cgil. Non è l’unica nota
grottesca della giornata. Quando, infatti, al Monteventi viene comunicato che la
destra (ad eccezione di An, che si è dichiarata indisponibile ad attività di
criminalizzazione) sta cercando di chiudere i conti con Cofferati, costui cade
dalle nuvole e se ne dispiace molto. È l’unico al mondo a non avere capito,
guarda un po’, che tutta l’operazione ha un senso soltanto per quel breve
riferimento al «mandante morale».
Dice Cofferati che qualcuno si
è preoccupato di spaventare il professsor Biagi attribuendo al segretario
generale della Cgil della intenzioni ostili nei suoi confronti. «Sono molto
preoccupato perché i miei avversari (Cofferati in primo luogo) criminalizzano
la mia figura», scrive Biagi a Casini. È il 15 luglio 2001, il governo
Berlusconi governa da un mese, ma già Cofferati è stato individuato dalla
maggioranza di destra come il personaggio più pericoloso dell’opposizione.
Non dimentichiamo quella frase di Berlusconi: «Ci occuperemo di Cofferati»,
pronunciata dopo il 23 marzo, dopo i tre milioni del Circo Massimo, cittadini
giunti da tutta Italia a manifestare pacificamente per la difesa dei diritti e
del lavoro. A luglio dell’altr’anno qualcuno, che guarda avanti, ha già
capito dove e chi bisogna colpire. Quando Biagi scrive a Parisi delle minacce di
Cofferati, le attribuisce a «persona assolutamente attendibile». Ma perché
mai Cofferati dovrebbe minacciare una persona che neppure conosce e che non ha
mai incrociato nella sua attività sindacale? L’unico riferimento polemico a
Biagi, il segretario della Cgil lo pronuncia sul Libro Bianco di Maroni. In un
convegno a Torino, quando Cofferati denuncia il collateralismo di chi lavora per
governo e Confindustria. Ma siamo a ottobre. E poi al congresso della Cgil,
quando parla di «Libro limaccioso». Ma siamo nel febbraio 2002. Perché mai,
addirittura cinque mesi prima, questa persona «assolutamente attendibile» (del
sindacato? del ministero del lavoro?) comincia a lavorarsi il professore di
Bologna? Perchè mai cerca di convincerlo che Cofferati lo sta mettendo nel
mirino dei terroristi? Uno si aspetta che da quel momento la persona «assolutamente
attendibile» e i suoi referenti politici e di governo si diano maledettamente
da fare per rafforzare il dispositivo di sicurezza a difesa dell’incolumità
di un Biagi in così grave pericolo. E invece accade esattamente il contrario.
Biagi ha due scorte. Prima gliene tolgono una. Poi l’altra. Lo lasciano
completamente solo. Il 19 marzo, in via Valdonica, mentre rincasa in bicicletta
c’è un assassino che lo aspetta.
Noi dell’«Unità» forse
abbiamo scombinato le carte a qualcuno. La trama contro Cofferati probabilmebte
prevedeva un ultimo atto, qualcosa che avrebbe dovuto definitivamente annientare
l’opposizione sindacale in questo paese. Adesso, per gli incappucciati, il
gioco è diventato molto più difficile.