L’intervento
di Giovanni Sartori del 15 gennaio scorso, esprimendo l’opinione di uno
dei più illustri politologi a livello mondiale, merita una considerazione
ed un chiarimento che sono mancati nei commenti di questi giorni. E’
nota la sua posizione, coerentemente mantenuta da gran tempo, in tema di
conflitto di interesse: ma la questione di più immediato rilievo per il
costituzionalista è un’altra e tocca il problema dei rapporti tra
organi costituzionali allorché viene chiamato in causa il potere
presidenziale previsto nel quarto comma dell’art. 87 della Costituzione:
«Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di
iniziativa del governo». Orbene, il quesito che si è posto Sartori è il
seguente: può il capo dello Stato non autorizzare la presentazione alle
Camere del disegno di legge governativo sul conflitto di interesse? Ed ha
ritenuto di poter rispondere positivamente. Come non è a tutti noto l’esplicitazione
di quel potere del presidente della Repubblica fu richiesta
nell’Assemblea Costituente da Vittorio Emanuele Orlando. *Presidente
Emerito della Corte Costituzionale
Il presidente della Commissione incaricata di predisporre il progetto
di Costituzione on. Ruini rispose che si poteva aderire alla richiesta,
trattandosi di un «intervento formale» del capo dello Stato, già
ricompreso nel più generale precetto che richiede che gli atti più
importanti del potere esecutivo siano formalmente emanati con decreti del
presidente della Repubblica.
La dottrina ha poi chiarito che il carattere formale dell’intervento non
andava inteso nel senso di decorativo o automatico perché anche
l’emanazione o la firma davano al presidente la possibilità di
controllare o sindacare che l’atto del governo corrispondesse a
determinate condizioni e requisiti. Ma tale potere di controllo ha limiti
ben precisi che hanno trovato in una definizione del compianto Livio
Paladin la sintesi migliore: «L’unica ratio di tale
autorizzazione consiste nel verificare se i disegni in esame siano immuni
da vizi così gravi che il Parlamento non dovrebbe nemmeno prenderne
visione». Ed è chiaro che i vizi dovrebbero dar luogo non a un semplice
giudizio di inadeguatezza, ma di palese e radicale incostituzionalità
altrimenti, aggiungo io, il presidente sarebbe coinvolto in questioni di
gestione politica che sono nella esclusiva responsabilità del governo.
D’altra parte, se si riflette sul fatto che su una legge approvata dal
Parlamento, che entra perciò in vigore con il solo fatto della
promulgazione, spetta al presidente della Repubblica un potere di semplice
veto sospensivo (nel senso che, come è pure successo nella storia
repubblicana, dinanzi ad una nuova approvazione parlamentare egli è
obbligato a procedere alla promulgazione), come si può pensare che, nel
momento assai meno impegnativo della autorizzazione alla presentazione del
disegno di legge alle Camere, il suo possa configurarsi come un potere di
veto assoluto? Un veto che, tra l’altro, non potrebbe comunque impedire
che lo stesso disegno di legge venga presentato ad iniziativa parlamentare
o popolare.
I precedenti, che non sono di per sé decisivi ma vanno pur sempre presi
in considerazione anche quando risalgono alla cosiddetta prima Repubblica,
insegnano qualche cosa. Uno dei motivi più seri della tensione che turbò
i rapporti tra il presidente Segni e il primo governo di centrosinistra
organico, presieduto da Aldo Moro, consisteva nell’ostruzionismo messo
in opera dal capo dello Stato contro un disegno di legge in materia
tributaria, sostenuto fortemente anche dall’on. Ugo La Malfa: la
tensione fu molto alta e si protrasse per alcune settimane finché il
decreto di autorizzazione fu firmato di malavoglia dal presidente Segni.
Un altro episodio riguarda il controllo mediante richiesta di riesame che
il presidente Cossiga esercitò a proposito di un disegno di legge già
approvato dal Consiglio dei ministri in tema di copertura degli oneri
finanziari conseguenti a pronuncia della Corte Costituzionale e di altri
organi giurisdizionali. Il presidente, eccependo dubbi di compatibilità
con l’ordinamento costituzionale, chiese con una lettera rimasta
riservata di «riproporre all’approfondimento del governo la nuova
normativa» alla luce dei suoi rilievi. Il governo De Mita rinunciò poi
al disegno di legge.
Dunque interpretazione costituzionale e prassi di lungo corso coincidono
ed escludono il veto del capo dello Stato, al di fuori delle circostanze
eccezionalissime evocate da Paladin, a proposito di disegni di legge
ritenuti rilevanti per l’attuazione del programma di governo.
Del resto, se il presidente agisse diversamente da questa linea
interpretativa, avallata dalla migliore dottrina, si darebbe luogo ad un
precedente pericoloso per i futuri sviluppi costituzionali. Si potrebbero
verificare, infatti, situazioni di confusione di responsabilità, dalle
quali potrebbero trarre argomento i sostenitori di un presidente della
Repubblica dotato di poteri di governo.
Tuttavia sembra eccessivamente squilibrata in altro senso la posizione
espressa da Galli della Loggia, secondo il quale il «sorvegliatissimo e
discretissimo Consigliere dell’esecutivo» potrebbe consigliare e
sconsigliare solo in circostanze eccezionali. E’ invece evidente che
l’intervento di «moral suasion» può verificarsi, einaudianamente,
tutte le volte che il presidente lo ritenga utile: ed anche
nell’esercizio del potere di autorizzazione.
Nondimeno la presa di posizione di Sartori resta altamente sintomatica
delle carenze di garanzie nel nostro sistema iper maggioritario dopo il 13
maggio, non solo per la mancanza di uno statuto dell’opposizione che la
protegga di fronte alle prevaricazioni all’interno del Parlamento, ma
anche di tutele di pluralismo essenziali nelle istituzioni di alte autorità
indipendenti, con speciale riguardo alla disciplina dei mezzi di
informazione radiotelevisiva. Si richiedono soluzioni appropriate e
largamente consensuali: riflettendo tutti che, secondo la ruota del tempo
e degli eventi, tutti potranno giovarsi di un ragionevole garantismo.
La risposta di Sartori
Le questioni sono tre. La prima riguarda il testo della Costituzione: cosa
dice o non dice. La seconda è su come la giurisprudenza interpreta la
Costituzione e la sua evoluzione «materiale». La terza è su quali siano
le circostanze di intervento. Nel mio fondo del 15 gennaio mi sono
occupato dei poteri «informali» del presidente e degli articoli 87 e 74
della Costituzione. Non mi sono occupato, invece, della giurisprudenza.
Questa omissione (dovuta alla tirannide dello spazio) viene ora sanata
dall’impeccabile intervento di Elia. Impeccabile in sé, e anche di
grande aiuto e conforto per me. Perché, in avvenire,
sull’interpretazione citerò Elia. In materia io non faccio testo; lui sì.
Vero è che, rinviando a Paladin, Elia trae dal mazzo la lettura più
restrittiva. Ma a me sta bene anche la sintesi di Elia: per intervenire il
presidente deve ravvisare in un provvedimento una «palese e radicale
incostituzionalità». Nel mio sopracitato articolo sul Corriere ho già
adombrato che questa è e sarà la mia tesi. In altri scritti (in questa
settimana sull’ Espresso ) la tesi è già delineata. Ma
prima di azionare le mie artiglierie - sul terreno di combattimento che mi
compete, il terreno della teoria della democrazia - debbo aspettare il
testo sulla disciplina del conflitto di interessi che sarà partorito dal
Parlamento.
In attesa tengo a rassicurare Elia. Io non ipotizzo un potere di veto
assoluto, ma invece qualificato. Più esattamente io mi pongo il problema
dei poteri presidenziali «autonomi» nei quali la firma del presidente
non è soltanto un atto dovuto di certificazione notarile, ma è invece un
atto che esprime una volontà, soltanto in contesti di «merito
costituzionale». Mi è chiarissimo che il capo dello Stato non deve
essere «coinvolto in questioni di gestione politica». Deve essere
altrettanto chiaro che io sollevo una questione ulteriore: se un
presidente sia costretto ad avallare senza nemmeno fiatare un disegno di
legge che viola - come mi propongo di dimostrare su un testo definitivo -
tutte le regole del gioco della democrazia costituzionale.
Leopoldo Elia
|