FINCHÉ è ancora in tempo, Berlusconi si fermi davanti alla forzatura di
ogni regola e di ogni principio che sta compiendo nella doppia partita sul
conflitto di interessi e sulle nomine Rai. Non tutto è concesso a chi ha
vinto le elezioni, siede legittimamente a palazzo Chigi e può contare su
un ampio e solido sostegno parlamentare. Ci sono criteri democratici che
non si possono calpestare a colpi di maggioranza, norme istituzionali che
vanno rispettate anche dai vincitori, equilibri e contrappesi che non
limitano il potere e la potestà di chi governa ma impediscono l´arbitrio:
e proprio per questo indicano la qualità di una democrazia, il rispetto
per uno spazio di convivenza civile in un comune spirito repubblicano, che
è la base stessa di una società politica dell´alternanza. Tutto questo
oggi è in discussione. Anzi, tutto questo oggi è già in pericolo, e il
Paese deve esserne consapevole.
Da sole e in astratto, le nomine Rai non rappresentano un´anomalia e
dunque non sarebbero ragione d´allarme. Si procede secondo la norma già
seguita in passato, per cui i presidenti delle Camere nominano il
Consiglio di amministrazione dell´azienda del servizio pubblico
radiotelevisivo, nella speranza che due autorità super partes possano dar
vita ad un collegio che non sia la pura proiezione meccanica degli
equilibri di partito. In realtà in passato - nei tempi dell´Ulivo come
nei tempi del Polo - dalle fatiche dei due presidenti è emersa una
lottizzazione quasi scientifica, mascherata dal velo ipocrita delle
"aree culturali". Ne sono emersi sempre consigli di
amministrazione male assortiti e rissosi, per un´azienda debole e spesso
paralizzata, soprattutto negli ultimi anni quando governava il
centrosinistra.
Per la prima volta, siamo davanti ad un quadro completamente diverso. Le
nomine avvengono infatti nel cuore di un conflitto di interessi patente,
che cambia radicalmente il panorama politico e istituzionale in cui devono
essere scelti gli amministratori della televisione pubblica. Il Capo del
governo, infatti, è il padrone della televisione privata.
SEGUE A PAGINA 17
Il Cavaliere nel groviglio del conflitto d´interessi
Silvio Berlusconi ora deve sciogliere l´anomalia che trasforma il caso
delle nomine Rai da questione aziendale a problema della democrazia
Non tutto è concesso a chi ha vinto le elezioni e legittimamente siede a
palazzo Chigi: ci sono norme istituzionali che impediscono l´arbitrio e
vanno rispettate
Possiede cioè metà
dell´etere, parla a un´antenna italiana su due, comanda e decide su tre
canali televisivi di interesse generale e diffusione nazionale, entra ogni
sera e ad ogni ora nelle case degli italiani non solo come protagonista
del racconto televisivo, ma anche e soprattutto come imprenditore del
video che quel racconto decide, programma e confeziona. In altre parole,
il presidente del Consiglio è il proprietario dell´azienda direttamente
concorrente della Rai.
Non c´è chi non veda come questa situazione - del tutto anomala in
qualsiasi democrazia occidentale, e stravagante persino in qualche
dittatura - trasformi il caso delle nomine Rai da questione aziendale a
problema della democrazia. Se Silvio Berlusconi continua nel suo cieco
rifiuto di cercare davvero una soluzione al proprio personale conflitto di
interessi, noi ci troveremo di fronte al caso esemplare del padrone della
tivù privata che sceglie il capo della tivù pubblica sua concorrente. E
magari lo sceglie tra i suoi dipendenti, tra i suoi ministri, tra i suoi
amici o tra i suoi fedeli, per governare in assoluta sicurezza l´intero
universo televisivo italiano: realizzando così il sogno di ogni moderno
populista, con la politica e la televisione che coincidono in una sola
persona, in un cortocircuito democratico senza precedenti al mondo.
I puri di cuore che non conoscono l´Apocalisse, i cinici per cui destra e
sinistra sono uguali, i liberali eleganti per i quali la democrazia
coincide ormai col galateo o poco più, in quale sistema pensano di vivere
il giorno in cui scatterà questa confisca berlusconiana di ogni
televisione, se non in un regime? A tutti loro, che ricamano sull´orlo
del vulcano, vogliamo ricordare che la tivù è lo spazio principe in cui
oggi passa la comunicazione politica, è la moderna agorà di ogni
campagna elettorale, è uno strumento controverso ma comunque potente nell´organizzazione
del consenso. L´Italia uscita dalle elezioni è un Paese con un chiaro
vincitore, ma spaccato in due culturalmente e politicamente, addirittura
troppo diviso. Se è giusto, secondo la prassi italiana abbondantemente e
spesso beceramente seguita dall´Ulivo, che chi ha vinto orienti a sé la
televisione pubblica (con spazi e contrappesi per la minoranza), non è in
alcun modo accettabile che questa conquista si sommi alla potestà
proprietaria sulla televisione privata. E´ un problema di Berlusconi, lui
per primo dovrebbe porselo, rassicurando ogni giorno gli italiani,
spiegando a chiare lettere come intende risolverlo. Finché non lo fa,
perché non vuole o non può, diventa un problema della democrazia.
Come dovrebbe essere ben chiaro a tutti, qui non sono in gioco né le
prerogative né le legittime aspettative di chi governa e di chi guida una
forte maggioranza in parlamento. Siamo di fronte a qualcosa di nuovo, che
la democrazia italiana in tutte le sue vicissitudini non aveva ancora
conosciuto. Come un moderno alchimista Berlusconi ha trasformato una sua
personale ossessione, come la giustizia, in politica corrente; e un suo
business privato, come la televisione, in ideologia a tutto campo. Anzi,
se in questi primi mesi il tema della giustizia ha dominato la sua
politica, la televisione è per Berlusconi una moderna teoria del potere,
lo scettro del principe. Ecco perché, pur essendo convinto che la sua
fortunata avventura imprenditoriale rappresenti il passato, e la politica
il suo unico futuro, il Cavaliere non riesce a liberarsi dell´identità
imprenditoriale, e la porta con sé impropriamente nelle stanze del
governo: perché è un´identità televisiva, e dunque coincide con la
semplificazione della politica in cui Berlusconi crede, fino ad
incarnarla. In buona sostanza, il presidente del Consiglio può
tranquillamente vendere un´azienda, cederla ai figli, consegnarla ad un
autentico blind trust: ma non potrà mai separarsi dalla proprietà
televisiva, che rappresenta la sua vera natura, di cui la politica è
soltanto il prolungamento.
Questo nodo chiamato conflitto d´interessi ha pesato sulla campagna
elettorale, rendendo anomalo il confronto tra centrodestra e
centrosinistra, come rapporto di forza. Ma oggi che Berlusconi è al
governo soffoca direttamente lo spazio e le regole della democrazia, come
nota ogni giorno la libera stampa straniera. Gli atti di governo, gli
adempimenti e i passaggi che si ripetono ad ogni legislatura - siano essi
virtuosi o mediocri nel merito - vengono oggi stravolti in partenza,
deformati e imbastarditi dal conflitto. Le nomine Rai sono l´ultimo e
clamoroso esempio. In presenza del conflitto di interessi, con il Capo del
governo padrone della tivù privata, è naturale che si debba scegliere un
presidente della Rai di garanzia. Ma Berlusconi si è fino ad oggi opposto
pervicacemente ad ogni scelta di questo genere, bocciando figure
autorevoli, anche se chiaramente non orientate a sinistra, ma capaci di
autonomia. E´ questa autonomia che non è contemplata nell´universo
berlusconiano, come dimostra il caso Ruggiero. Nemmeno l´autonomia
istituzionale, come confermano gli attacchi a Casini richiamato come un
servitore sotto padrone, solo perché si è preoccupato di salvaguardare
un minimo di funzione di garanzia per il presidente Rai, salvando così
anche la dignità del suo stesso ruolo, e dunque delle Camere.
A questo punto, il nodo è ormai diventato un groviglio. Berlusconi si è
rinchiuso in una sorta di tautologia autistica autoreferenziale. Come se
dicesse: il conflitto d´interessi è talmente enorme che non può essere
risolto. Gli italiani ne prendano atto. Anzi, dopo la piena conquista
della Rai, quando gli interessi coincideranno con l´intero sistema
televisivo e la televisione unica coinciderà con la politica, quale
conflitto potrà mai esserci in questo universo compatto, coerente e
concluso, come un mondo nuovo e perfetto? E´ vero, come ha scritto
Ernesto Galli della Loggia, che tanta radicalità estrema può non
convenire a Berlusconi, perché può turbare gli elettori moderati. Ma a
parte il fatto che la "forza" è uno degli elementi costitutivi
della destra berlusconiana, e può attrarre consensi nell´Italia di oggi,
il problema è un altro: queste scelte convengono al Paese? La risposta è
chiaramente no, perché la democrazia è fatta di regole e di poteri
bilanciati, non di abusi e di arbitrio. A partire da temi delicati e
cruciali come la libertà d´informazione, il pluralismo, la formazione
del consenso.
Se dunque Berlusconi non è capace di dare a se stesso, al suo potere e al
suo legittimo comando una regola e una disciplina, tocca alle altre tre
massime cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica ha richiamato
il valore del pluralismo, sottolineando il ruolo del servizio pubblico
televisivo. Può oggi assistere in silenzio all´ossequio formale verso le
sue parole, e al dileggio che ne viene fatto in concreto? E i presidenti
delle due Camere, credono nell´elementare richiamo del Capo dello Stato e
sono pronti a tradurlo in pratica con le nomine, o vogliono contribuire
con il loro nome e la loro opera all´edificazione del regime?
Non sono in gioco né la lealtà nei confronti della legittima maggioranza
di governo, né il coraggio, che in democrazia non è necessario. Basta
avere la chiara convinzione che il conflitto di interessi è una lesione
permanente e gravissima alla regola democratica di un Paese civile:
bisogna risolverlo sul serio, in modo chiaro e a testa alta, perché ogni
sotterfugio perpetuerebbe l´anomalia, rendendola ingestibile. Da questa
semplice e ovvia constatazione discende non l´opportunità ma l´obbligo
di dare alla Rai un Consiglio di garanzia finché dura il conflitto di
interessi. Ogni altra strada è inaccettabile.
L´opposizione, se ha qualche residua coscienza di sé, sospenda le
polemiche interne, e si concentri su questa sfida di democrazia. La
sinistra spontanea, fai-da-te, la porti fuori dal palazzo, tra i
cittadini, cercando di costruire un senso comune democratico,
repubblicano, civico, a sostegno non di un interesse di parte, ma di una
regola per tutti. Ci sono ancora battaglie politiche che vale la pena
combattere, anche in anni come questi
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