Erano annunciate riforme dellŽordinamento giudiziario. Ecco lŽembrione,
il disegno dŽuna delega: materia fluida, già mutata in mano ai
proponenti; e poiché lŽattuale governo patisce le dispute parlamentari,
sebbene abbia sponde ferree nelle Camere, la procedura appare conforme al
nuovo stile. Sono disegni da votare nellŽaula (art. 73 Cost., c.4): i
deleganti formulano «princìpi e criteri direttivi» (art.76), ossia
premesse generali, con i parametri secondo cui specificarle, ma restando
ampi margini, i testi finali sfuggono al controllo; unico rimedio lŽaccertamento
dŽincostituzionalità qualora il decreto esorbiti dalla delega. EŽ lŽiter
normale nelle codificazioni. Stavolta niente lo imponeva: le future norme
non richiedono prose-fiume, né constano precedenti; i testi capitali sono
leggi, non decreti (24 maggio 1951 n. 392; 24 marzo 1958 n. 195; 4 gennaio
1963 n. 1; 25 luglio 1966 n. 570; 20 dicembre 1973 n. 831; 22 dicembre
1975 n. 695; 2 aprile 1979).
LŽargomento scotta nel programma berlusconiano, e non perché lŽItalia
lamenti una giustizia lenta, costosa, fallibile. EŽ problema politico,
come controllarla. Sotto false insegne liberali, gli attuali signori
sopportano male i poteri separati: tipiche queste direttive, né spira
aria favorevole ai ripensamenti; anzi, i pessimisti temono colpi di mano
dal partito blu, dove comandano bellicosi avvocati. Se lŽironia ha ancora
corso, sia concessa una parentesi. Decreti dŽurgenza e delegati
configurano lŽunico potere normativo forte esercitabile dallŽesecutivo,
mentre i re ne avevano dŽautonomi: disciplina militare (art. 5 Statuto),
uffici e stato deglŽimpiegati (artt. 5 sg.), materie ecclesiastiche (art.
18), ordini cavallereschi e titoli nobiliari (artt. 78 sg.); era un
flebile relitto delle monarchie iure divino. Quanto le rimpiangono
impenitenti reazionari, una famiglia inestinguibile, da Clemente Solaro
della Margarita, microcefalo anticavouriano, ai rampanti cultori del Graal
tecnocratico, assiso nei consigli dŽamministrazione (sono i moderni
Templari); e siccome B., decisionista par excellence, ha lŽancien régime
nel sangue, quando sia asceso al Colle, capo dŽuna repubblica rifondata o
da rifondare secondo i suoi gusti, forse riattiva le prerogative regali,
inclusa magari la «justice retenue» dei re cristianissimi. San Luigi
teneva udienza sotto un olmo. Lui daterà i rescritti da Arcore.
In sede retrospettiva va detto. Non è da imitare lŽaustera Destra
storica: alle prese con una materia ribelle costretta nel telaio
subalpino, usava glŽinstrumenta regni in spirito giacobino (guai se lo
sapessero gli attuali «liberal» ); erano tempi straordinari. Quanto poco
le somigli lŽomonima 2002, lo dicono riscoperte agiografiche: duchi,
granduchi, Borboni, papa-re, briganti, Madonne che piangono, crociate
contadine; negli anni Trenta storiografi fascisti fabulavano un
Risorgimento autoctono, misogallo, immune da influssi europei, mentre ora
tiene banco lŽantirisorgimento tout court. Mi domando cosŽaspetti
qualche fiero reminiscente a cantare le bande sanfediste calabresi del
cardinale Fabrizio Ruffo, 1799, contro gli occupanti atei e lŽodiosa
intellighentsia napoletana, salutarmente massacrata dai lazzaroni. I
fondatori dello Stato combattevano insorti, camorre, revanscismo
centrifugo, clero refrattario, anarchia (rectius, fame). Affari eccepibili
risalgono allŽepoca virtuosa: famoso quello delle Ferrovie meridionali,
1862-4, o la «Regìa cointeressata dei tabacchi», 1868-9; post 1876,
spodestata la vecchia élite, lŽaffarismo dilaga. La giustizia politica
era una delle accuse mosse dalla Sinistra, i cui uomini, borghesemente
duttili, seguono lŽesempio: governi deboli, schieramenti ambigui, crisi
ricorrenti, vortice trasformistico; soggetti al ministero nelle sorti
elettorali, i parlamentari lo ricattano col voto sulla fiducia;
procuratori del Re fungono da agenti elettorali, requirenti e giudici
coltivano i favori del deputato. Insomma, le memorie ottocentesche hanno
poco dŽedificante. Superfluo dire poi quanto pesi lŽipoteca governativa
nel ventennio nero.
Con tali precedenti ogni salto indietro sarebbe nefasto, anche perché,
absit iniuria, lŽodierna Destra sta moralmente agli antipodi della
post-cavouriana. LŽunica sua ideologia è un praticismo antimoralistico:
corsa al business ovvero primato dei furbi; che sia la loro stagione,
consta da allegre casistiche. Lo stilnovo implica un lassismo giudiziario
selettivo: mano dura sul disordine basso; via libera ai colletti bianchi.
Nella poesia provenzale spirava «amour de lohn». Covano sentimenti anche
tecnocrati. Abbiamo un governo reminiscente dei bei tempi, quando dominava
le curie attraverso i meccanismi della carriera: promozioni e
trasferimenti dipendevano dal guardasigilli; il quale negli affari
corporativi lasciava mano libera ai vertici togati (le Cassazioni, poi
ridotte a una), purché fosse garantita piena fedeltà. Patto implicito e
abito conformistico: destavano scandalo, puntualmente represso, le scelte
devianti, ad esempio, che fossero assolti i portatori dŽuno stigma
politico; e gli episodi scandalosi sŽinfittivano nei climateri, sotto
governi deboli, velleitari, talvolta inclini al colpo basso autoritario,
quali erano i ministeri Rudinì e Pelloux, 1896-1900. Ma consideriamo le
novità, cominciando dalla «Scuola della magistratura», addetta al
tirocinio e aggiornamento professionale. Idea lodevole: non sono mai
troppi i peripli intellettuali; e ci vuole qualche controstimolo al
torpore della carriera automatica. Va benissimo, quindi, una «struttura
didattica» permanente. Meno bene che vŽincomba il ministro: in concerto
col Csm nomina 3 su 5 componenti del comitato direttivo; dallŽaggressivo
interventismo spiegato negli ultimi mesi è arguibile lŽascendente che vi
conquisterà. Voleva tenersela nel ministero, tale essendo la sede
naturale (confida ai giornali, 18 marzo): gesto impolitico; e lŽha
diluito con un passo obliquo. LŽimportante era sottrarla al Csm, sua
bestia nera. Ora la vediamo sullŽaltra sponda tiberina, un poco a monte,
ancorata alla Cassazione, il cui presidente nomina gli altri due nel
comitato: ma rimane il cordone ombelicale governativo; siccome i corsi dŽaggiornamento
incidono sulla carriera, id est funzioni e stipendio, incarichi e
direttivi inclusi, la mano estranea ridiventa pesante, come quando nessuno
sognava lŽautogoverno. Pitture quattrocentesche inscrivono il mondo nel
globo oculare divino. LŽocchio ministeriale vede tutto: ogni magistrato
subisce dei vagli; i relativi giudizi, acquisiti al fascicolo personale,
pesano sulla sua sorte nei 6 anni seguenti. I corsi dŽaggiornamento
fungono da griglia selettiva e se un esecutivo come lŽattuale vi allunga
le mani, gli esiti sono prevedibili. LŽautentica intelligenza non è mai
servile. Infatti, corrono tempi ostili ai cervelli.
Cadranno le «teste storte»: chi lŽavesse troppo pensante sarebbe
marchiato ancora peggio; «stortura» significa nuotare fuori dalla
corrente. NellŽipotesi migliore fioriranno prose circonvolute. Lo stile
italiano delle sentenze aveva un difetto cronico, nel cui passato remoto
barbugliano loquele moltiplicate dallŽalluvione editoriale dei «consilia»
o pareri venali: dove ogni opinione dottrinale (le chiamano «autorità»)
funga da possibile norma, tale broda sprigiona effetti inquinanti;
Muratori li vitupera, 1742, auspicando fonti meno impure. Tra Otto e
Novecento i meccanismi ministeriali della carriera consolidano il
fenomeno: lŽesecutivo vuole giurisprudenze docili e non bastano più i
nudi dispositivi; dovendoli motivare, il sistema sviluppa gerghi dove
tutto sia asseribile, una cosa e lŽopposta. Quanti varchi aprano al
malaffare, lo dicono processi milanesi. Insomma, lŽintromissione politica
porta fumo. Va bene la scuola, tanto meglio quanto più vi contino materie
ed esercizi mentali aborriti dai praticoni parolai: la migliore pratica,
tra le pulite, è usare buone teorie col minimo dispendio verbale; ma il
ministro stia fuori.
Tout se tient nelle mosse del governo. Eccone una prediletta,
absburgicamente definibile «divide et impera» (tentata, ad esempio, sui
sindacati). B. vuol convertire la Cassazione in blocco corporativo, suo
enfant găté: le accorda 20 giorni al mese dŽindennità, ferie escluse,
come se fossero tutti in trasferta (i residenti la considerino mancia);
una commissione speciale valuta gli aspiranti consiglieri formulando
pareri praticamente decisivi; lŽesautorato Csm nomina i 5 selettori ma
deve sceglierli nella rosa indicata dal ministro. Tra scuola e commissione
speciale lŽesecutivo recupera trionfalmente i vecchi poteri. La stessa
strategia traspare dalla delega bianca, costituzionalmente invalida, a
definire le figure dŽillecito disciplinare. Stravagante, poi, e
presumibilmente funesta, lŽidea dŽincludere rappresentanti delle Regioni
nei consigli giudiziari presso le corti dŽappello: 2 componenti su 9;
vigilano sugli uffici nel distretto, segnalando eventuali anomalie, e
formulano proposte sul relativo assetto. Bel modo dŽinoculare una sepsi
politica nel circuito.
Siamo solo allŽesordio. Giustizia maniable, chiedono gli strateghi, e il
programma implica un pubblico ministero-funzionario guidato dal gabinetto.
EŽ ancora presto: meglio non dirlo; lŽidea però erompe dallŽeufemismo
«funzioni separate» (quasi fossero mai state commiste). La solita scuola
concede o nega lŽassenso a chi da requirente voglia diventare giudice o lŽinverso.
Cosa bolla nel pensatoio, lo capiscono anche i meno acuti, carriere
separate. In teoria, niente dŽinfernale: sono ipotesi rispettabili; su
dati presupposti può darsi persino che configurino lŽottimo regime. Sto
presupponendo un parlamento virtuoso dove abusi e omissioni degli organi dŽaccusa
reclutati dal ministro ricadano sullo stesso (interpellanze, sfiducia,
dimissioni, crisi governativa), trovando effettivo rimedio. Non è il caso
italiano, e viene da ridere se qualcuno afferma che lo sia. Dalle nostre
parti accuse discrezionali e accusatore avulso dallŽordine togato
significano mano politica, lesta, dura, indulgente, secondo atmosfere,
circostanze, persone: così qualcuno aveva tentato dŽassicurarsi negli
Ottanta, fiutando disavventure; finché la consorteria fosse stata al
potere, nessun pubblico ministero governativo avrebbe scoperchiato i
malaffari. Non è ancora tempo. NellŽattesa vale un interdetto
linguistico ma Sua Eccellenza padana, al quale le parole ogni tanto
sfuggono, lŽha violato scoprendo le carte: erano sul tappeto le misure
cautelari europee; prima bisogna adeguare glŽistituti italiani agli
europei, salmodiava sorridente, notando come da noi lŽazione penale sia
ancora obbligatoria, et coetera. Verrà il turno del pubblico ministero,
perché B.
procede con inesorabile «dirittura» (nel senso spaziale). Non è ancora
attuale un ritorno secco a quando dipendeva dal ministro, come cane da
guardia dei giudici. Il primo passo verosimilmente sarà una disciplina
periodica delle priorità penali, dettata dal parlamento. Se ne parlava,
poi i corifei hanno taciuto. A parte lŽobbligo dŽosservarle e relative
pene disciplinari, sarebbe nel limpido stile delle norme sulle rogatorie
comminare lŽimprocedibilità dei casi intempestivi (ad esempio,
corruzione giudiziaria, posposta al furto negli appartamenti), e con
effetti curiosi: finché non sia sbrigato lŽultimo caso prioritario,
nessuno muova dito: flussi regolati da fuori saturano gli uffici
requirenti, investigazioni difensive allungano i tempi; se lŽaffare lo
richiede, intervengono patroni convolati dal soccorso rosso al blu. LŽipotetico
lunario delle priorità prefigura pubblici ministeri dal collare
ministeriale. Vele al vento, navighiamo indietro, verso la Kabinettsjustiz.
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