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torna a Anni abbastanza crudeli
Rogatorie, nuovo
strappo con la Ue
via a un'altra legge bloccaprocessi
Il governo recepisce a metà la convenzione sulle euroindagini
Si profila una battaglia parlamentare sugli articoli 6 e 7 del testo Dubbi pure
a Bruxelles
La settimana prossima alla Camera il ddl del Consiglio dei ministri che rende
validi gli atti compiuti all'estero solo se conformi alle norme italiane di
recente approvate
LIANA MILELLA
da Repubblica - 1
febbraio 2002
ROMA — Gli scontri tra
Casa delle Libertà e Ulivo sulle rogatorie e sul mandato di cattura europeo
sono ancora freschi nella memoria di chi ha vissuto le giornate caldissime nelle
aule di palazzo Madama e di Montecitorio. Se ne ricorda di certo Marcello Pera
che, da presidente forzista del Senato, è stato costretto a fare la voce grossa
senza riuscire a tenere a freno baruffe e tafferugli tra maggioranza e
opposizione. Adesso è solo questione di giorni, al massimo di una settimana, ma
sugli stessi temi — la validità degli atti compiuti dai nostri magistrati al
di fuori del territorio italiano — le polveri sono destinate ad accendersi di
nuovo. Non solo in Italia, ma anche a Bruxelles dove si avvertono già le prime
voci di protesta.
Il governo, e in particolare il ministero della Giustizia, non demordono dalla
linea che hanno scelto ad ottobre dell'anno scorso, quando fu approvata la legge
che recepiva la convenzione giudiziaria tra Italia e Svizzera snaturandone il
senso. Tant'è che ancora oggi il governo elvetico non ha compiuto il passo
definitivo: pur avendo approvato la convenzione, non l'ha notificato al governo
italiano con un passo formale. E questo, come hanno spiegato gli esperti di
diritto svizzero, perché la nostra legge rende di fatto nulla una convenzione
tanto sollecitata nel 1998.
Ebbene, dopo pochi mesi, c'è un'altra convenzione, quella di Bruxelles del
2000, e un altro disegno di legge, fresco di presentazione (l'Esecutivo lo ha
"passato" senza dubbi né incertezze venerdì scorso) che, come dicono
gli esponenti dell'opposizione, i magistrati, i tecnici del diritto di
Bruxelles, «snatura lo spirito delle decisioni europee». Il ddl è composto da
26 articoli ed è accompagnato da una relazione di qualche cartella. Ma tra il
settimo e l'ottavo articolo si nasconde la norma che sembra mettere nuovamente
nel nulla intenzione, spirito e obiettivi di una Convenzione che prevede
addirittura «squadre investigative comuni» e «indagini comuni» tra Stati.
Tutto questo è possibile solo a patto che le barriere giuridiche cadano e se,
effettivamente, si può creare uno «spazio giuridico europeo», minimo comun
denominatore per scelte giudiziarie univoche.
L'obiettivo della Convenzione è chiaro e una rapida lettura del testo non
lascia dubbi. Per questo, dopo gli attentati dell'11 settembre, da Bruxelles è
partito un caloroso invito ai 15 a ratificarlo il più rapidamente possibile,
visto che può facilitare indagini e processi su terrorismo, mafia, riciclaggio,
ma anche sulla corruzione. L'Italia ha risposto all'appello della Ue venerdì
scorso con il suo disegno di legge che accetta le «squadre investigative comuni»,
ma ribadisce che «i documenti acquisiti all'estero e i verbali degli atti non
ripetibili possono essere inseriti nel fascicolo del dibattimento se assunti
nella forma rogatoriale». L'articolo otto recita testualmente: in Italia
avranno valore solo i documenti e gli atti compiuti «con l'osservanza delle
norme del codice di procedura penale».
Ci risiamo, dunque. Esattamente come a ottobre, il governo e il ministero della
Giustizia impongono una linea che l'ex presidente della commissione di via
Arenula per le convenzioni internazionali Giuseppe La Greca definisce «contraria
allo spirito universalmente riconosciuto del diritto internazionale». Da
sempre, il magistrato che chiede a un collega di un altro Stato di interrogare
un testimone, oppure di trovare dei documenti, lo fa sapendo che sarà
utilizzata la procedura in vigore in quello Stato e non in quello italiano. Una
regola di diritto, ma anche di buon senso. Del resto, dal punto di vista della
validità delle carte, fa fede una procedura che, anche se formalmente
differente, tuttavia rispetta le regole.
Ma per la Casa delle libertà e per il governo Berlusconi questo principio è,
invece, fuori dalle regole del diritto. Lo ha detto tante volte il presidente
della commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella, che è anche
l'avvocato del Cavaliere nel processo Sme: perché gli atti e i documenti siano
validi, perché possano essere introdotti nei processi, perché servano a
condannare gli imputati essi debbono seguire le regole dei nostri codici. La
conseguenza è ovvia: anziché sveltirsi ed essere più facile, la
collaborazione tra Stati si complica e i tempi si allungano. Ma la linea non
cambia. E per evitare che i magistrati se ne scordino, il 21 dicembre il
Guardasigilli Roberto Castelli ha anche inviato una circolare ad hoc per
richiamare tutti al rispetto delle regole che, qualora venissero violate,
potrebbero produrre sanzioni disciplinari.
L'INTERVISTA
Giuseppe La Greca, ex presidente della commissione del ministero sulle
convenzioni internazionali
"Questo è il colpo definitivo
alla lotta a mafia e terrorismo"
ROMA —È stato il
presidente della commissione che, al ministero della Giustizia, si occupava
delle convenzioni internazionali. Ma si è polemicamente dimesso nell'ottobre
scorso quando il governo ha deciso di dare una stretta sulla convenzione
italosvizzera. Oggi Giuseppe La Greca, che è stato capo di gabinetto del
Guardasigilli Conso e giudice della sesta sezione penale della Cassazione,
lancia un allarme: «Pensiamoci bene prima di irrigidire la cooperazione
giudiziaria perché potremmo pentirci di aver introdotto dei freni. Oggi c'è
l'emergenza negli Usa, ma anche noi abbiamo sofferto per il terrorismo e la
mafia. Nessuno può sapere cosa ci riserva il futuro».
Perché giudica l'ultimo ddl del governo così negativo?
«È un testo che si colloca nella linea della legge di ottobre. Che complica e
non facilita le indagini. Tra tanti, un esempio: nei futuri fascicoli dei pm non
si potranno inserire atti e documenti acquisiti all'estero qualora non rispetti
il nostro codice di procedura penale. Questa è una "rivoluzione"
rispetto a una tradizione giuridica che è sempre andata in senso contrario: gli
atti compiuti all'estero seguivano le regole di quel Paese e non certo del
nostro».
E secondo lei questa è una tradizione inviolabile?
«Certo. Perché è un principio basilare del diritto internazionale
universalmente riconosciuto. Lo stesso articolo 10 della Costituzione stabilisce
che il nostro ordinamento si uniforma alle norme del diritto internazionale
generalmente accettate».
Se violazione c'è stata, è avvenuta con la legge sulle rogatorie. Perché si
stupisce oggi che gli stessi principi siano ribaditi per la Convenzione di
Bruxelles?
«Ad ottobre si discuteva dell'accordo ItaliaSvizzera. Oggi quei principi si
estendono definitivamente al codice di procedura penale e quindi c'è un passo
in avanti rispetto ad allora».
Ritiene che le scelte legislative del governo siano contrarie allo spirito della
Convenzione?
«Penso proprio di sì, perché la Ue vuole facilitare e sveltire la
collaborazione tra autorità giudiziarie dei vari Paesi e non mira certo a
complicarla. La ragione è semplice. Si parla di globalizzazione e da decenni si
riflette su quanto le attività del crimine siano transnazionali. La speditezza
nello scambio degli atti non è una scelta capricciosa, ma una necessità
fondamentale per combattere mafia e terrorismo. E l'Italia sta violando, in
alcuni punti, lo spirito dell'accordo europeo».
Eppure molti esponenti della Cdl sostengono che solo così si possono garantire
gli imputati. Lei che ha lasciato la magistratura e oggi fa anche l'avvocato è
d'accordo?
«Non mi risulta che, in passato, sia stata contestata la validità degli atti
raccolti all'estero. È una preoccupazione esasperata».
Fino a che punto c'è un rischio d'incostituzionalità?
«Il pericolo esiste. E le Camere dovrebbero cogliere l'ultima occasione per
rivedere norme che non si armonizzano affatto con lo spirito della cooperazione
giudiziaria internazionale».
(l.mi.)
IL CASO
Il Consiglio pronto a denunciare l'abuso del Guardasigilli
Olaf, il Csm contro Castelli
"C'è conflitto istituzionale"
All'esame delle toghe l'ordine ai magistrati di non aderire all'organo delle
indagini europee
CLAUDIA FUSANI
ROMA —
«Conflitto istituzionale». Questa è l'ipotesi su cui stanno lavorando la II e
la VI commissione del Csm, che potrebbero arrivare a denunciare
"l'abuso" dell'esecutivo nei confronti della magistratura. Tutto ruota
intorno al caso Olaf, l'organismo europeo con autonomi poteri di indagine che si
occupa di reati come la corruzione e la concussione in ambito Ue. Il conflitto
è all'esame delle commissioni dal 10 gennaio dopo che il 5 gennaio il ministro
Castelli ha scritto al Csm chiedendo che i dottori Nicola Piacente, Alberto
Perduca e Mario Vaudano, destinati all'Olaf dopo aver vinto un regolare concorso
europeo, «siano richiamati in ruolo ed assegnati alle sedi giudiziarie». La
lettera del ministro arriva dopo che il Csm aveva già detto no al governo (6
dicembre) e alla sua decisione di non inviare i tre pm. Nonostante quel primo
no, via Arenula insiste. Castelli basa il suo rifiuto sul fatto che il
presidente del consiglio non ha concesso l'autorizzazione ai magistrati di
prestare servizio presso organismi internazionali, via libero obbligatorio in
base alla legge come si legge nella lettera 1114 del 1962. «Peccato che
osservano in blocco i membri del Consiglio superiore quella legge sia stata
negli anni superata dagli obblighi della legislazione comunitaria; senza contare
che i tre magistrati hanno partecipato e vinto un regolare concorso». Questa
scelta, aggiungono i consiglieri, «non solo ignora le competenze del Csm ma
pone il paese ai margini della comunità europea. Ecco perché crediamo a questo
punto che si profili seriamente il rischio di un conflitto di attribuzioni».
Per capire bene il caso Olaf va detto che l'organismo gode di totale autonomia e
poteri di indagine e che la maggioranza invece vorrebbe assegnare a
quell'incarico tre ufficiali di polizia giudiziaria, polizia, carabinieri o
finanza, che sicuramente non avrebbero l'autonomia di un magistrato.
Un braccio di ferro, dunque. Forse anche qualcosa di più. E su più fronti.
Interno, prima di tutto, visto che Palazzo Chigi, come ha ribadito ieri Castelli
alla Camera dove si sono discusse le mozioni presentate dalla Cdl e dall' Ulivo,
«porterà avanti con determinazione il no alle nomine dei magistrati».
Castelli ha ottenuto la maggioranza dei voti. Palazzo dei Marescialli, per conto
suo, si arma per una durissima battaglia.
E si annuncia un braccio di ferro anche a livello europeo. «Il tempo degli
eurosupini è finito» ha detto ieri Castelli. Il direttore generale dell'Olaf,
Franz Herman Bruener, ha scritto per sollecitare «al più presto» un incontro
con il Guardasigilli sul caso dei tre magistrati italiani.