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LA LETTERA, in Corriere della sera 11 dicembre 2001

Caro direttore, si sentono molte discussioni in questi giorni sul cosiddetto mandato di arresto «europeo»: mi sembra dunque utile ricapitolare di che si tratta, giacché talune critiche sembrano prescindere dal testo della proposta di cui si discute.
Vorrei ricordare che questa si limita a cercare di dare attuazione a quanto già convenuto dai governi dei 15 Stati membri dell’Unione a partire dal Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999 fino al Consiglio europeo di Gand del 19 ottobre 2001, al quale ha partecipato l’attuale capo del governo italiano e ove si è chiesto ai ministri competenti di approvare nella riunione del 6-7 dicembre «le modalità concrete in materia di ordine europeo di arresto».
Si tratta in pratica di sostituire il procedimento di «estradizione» con il procedimento di «consegna» per quanti siano colpiti da condanne definitive o provvedimenti restrittivi relativi a gravi reati, tali ritenuti da tutti i Paesi membri. In altre parole, per tali reati si elimina, nel solo ambito dell’Unione Europea, l’intervento dei governi e le formalità tipiche delle procedure di estradizione per consegnare all’autorità giudiziaria competente la persona colpita dal provvedimento restrittivo. Ciò sulla base del principio del «reciproco riconoscimento», che già vale nella materia civile, fondato a sua volta sul presupposto che i pur diversi sistemi giudiziari dei 15 Paesi membri assicurano analoghi livelli di garanzie procedurali (sostanzialmente quelle stabilite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dai suoi più recenti protocolli e ribadite recentemente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue).
Dunque nessun timore di estradizione in Paesi che contemplino la pena di morte o non assicurino adeguati diritti di difesa, nessuna necessità di istituire tribunali o corti d’appello «europee», perché non vi è alcuna autorità «europea» che emetta un provvedimento di arresto, ma semplice fiducia reciproca nei rispettivi sistemi di giustizia penale.
Anche i meno «europeisti» fra i 15 Paesi membri hanno convenuto di avviare questo nuovo sistema, già anticipato per alcuni reati dall’accordo bilaterale fra Italia e Spagna. Evidentemente, con tutti i limiti e le cautele previsti nella bozza di accordo, tutti convengono che ci si può fidare dei rispettivi sistemi giudiziari, anche di quello italiano! Solo noi ora scopriamo che non possiamo fidarci degli altri? Riteniamo forse che il nostro sistema, pur quotidianamente vituperato, sia il miglior sistema del mondo? E poi: se vi sono insuperabili ostacoli di principio, perché questi non valgono per i primi sei reati della lista e valgono invece per tutti gli altri (a partire dalla corruzione fino all’omicidio e dal riciclaggio fino allo stupro)? Mi auguro che si rifletta e si giunga a un accordo senza chiedere contropartite che incidano a danno della giustizia e del principio di uguaglianza.


Elena Paciotti deputata al Parlamento europeo, ex presidente Anm