Sul
problema Berlusconi sono stato una delle colombe più candide della scorsa
legislatura, candida sino all'ingenuità, se non si vuole usare un termine
più forte: ho creduto che con Berlusconi si potessero fare riforme
costituzionali e in questo spirito ho partecipato ai lavori della
Bicamerale; non ho mai pensato (e non penso tuttora) che questo
centrodestra costituisca una "minaccia per la democrazia", se a
questo termine si dà il significato che gli è proprio; credevo e credo
fortemente nell'alternanza e nel diritto dei cittadini di scegliersi e di
tenersi il governo che più loro aggrada, anche se piace pochissimo ai
Catoni sconfitti.
Mi
rendevo conto, naturalmente, che il conflitto d'interessi e le pendenze
con la magistratura avrebbero creato non pochi problemi. Pensavo però che
la stessa natura del ruolo avrebbe indotto il Presidente del Consiglio ad
una cesura netta col passato: la Presidenza del Consiglio è missione
talmente più alta di quella di un capo d'impresa da indurre qualsiasi
uomo veramente ambizioso a sacrificare molto al fine di poterla svolgere
con la massima efficacia. E' qui che mi sbagliavo: una cesura è
impossibile, il passato ritorna e il Presidente ne è così ossessionato
da piegare una parte non piccola della sua attività di governo al
tentativo di scrivere una storia diversa da quella che altri poteri dello
Stato in parte hanno già scritto e vogliono continuare a scrivere. Così
facendo procura danni gravi al nostro paese, ne compromette il prestigio
internazionale e soprattutto ostacola la crescita di quella società
civile (di quel "buon tuono", avrebbe detto Leopardi) che in
esso è sempre stato assai gracile. Insomma, dà l'impressione di
comportarsi come quel generale dei racconti di Padre Brown di Chesterton:
per eliminare l'alfiere con cui sua moglie l'aveva tradito, scatena una
cruenta e inutile battaglia in cui l'alfiere viene ucciso, provocando un
male generale per ottenere un bene (illecito) particolare.
Lasciamo stare per ora il conflitto di interessi. Il mio modello di uomo
ambizioso sarebbe andato dai capi dell'opposizione e avrebbe detto loro:
«Il conflitto esiste ed è grave. Ora però sono Presidente del Consiglio
e voglio esercitare il mio ruolo al di sopra di ogni sospetto. Quali sono
le misure che ritenete necessarie affinché della storia del confitto di
interessi non si parli più? Anche se esse comportassero un notevole
sacrificio economico, io sono disposto a prenderle». Non ha fatto così e
ha tirato invece fuori dal cappello la storia dei tre saggi, che
francamente fa ridere i polli.
La questione non è però irresolubile e dalla sua soluzione potrebbe
persino venir fuori un assetto del sistema televisivo del nostro paese più
dinamico, pluralistico e competitivo: oltretutto Berlusconi potrebbe
cavarsi la soddisfazione –qualora proponesse una soluzione concordata e
fortemente liberale — di vedere la sua controparte più imbarazzata e
confusa di quanto non sia lui stesso. Il problema più ostico, e di cui
non vedo soluzione, è la questione della magistratura. Non c'è nulla di
cui vergognarsi, e molto di cui essere orgoglioso, nell'aver costruito un
impero dei media di cui ci si spoglia (…se ci si spoglierà) per
esercitare un compito più alto. La cosa è diversa se lo si è costruito
anche attraverso fatti illeciti. Sul futuro si può trovare un accordo; ma
non c'è bipartisanship che ti salvi dal passato.
Di qui il nodo della giustizia e il conflitto colla magistratura. I
giudici sono storici, e storici armati, del recente passato: quale altro
modo di sbarazzarsi di loro, di costruire un passato accettabile ed
eliminare un passato sgradevole, se non quello di persuadere i cittadini
che si tratta di storici prevenuti, non affidabili, faziosi,
"comunisti"? Da questi storici non ci si può attendere una
ricostruzione onesta ed imparziale dei fatti; da questi giudici non ci si
può far giudicare. E poiché essi sono armati, poiché dispongono del
monopolio della violenza legittima, è giustificata sia la fuga nel caso
individuale, sia una forte riduzione del loro potere, delle loro armi, nel
caso generale. Dunque è giustificato Previti nel mettere in atto tecniche
dilatorie, ai limiti della farsa per chi conosce come sono organizzati i
lavori parlamentari e l'attività politica di un deputato. E sono
giustificati il governo e il parlamento se prendono misure che rendono
difficile la vita ai giudici (a quelli italiani, però: perché opporsi al
mandato di cattura internazionale?) e facile agli imputati, quelli almeno
che sono in grado di avvalersi di avvocati abili e costosi. Quando si
scredita un'istituzione di tale rilievo costituzionale il "buon
tuono" di Giacomo Leopardi — la fiducia tra governanti e governati
e il rispetto delle istituzioni — si abbassa pericolosamente, come
testimoniano i sondaggi ricordati da Ilvo Diamanti alcuni giorni fa.
E se il Parlamento interviene con leggi di cui il meno che si possa dire
è che non sono quelle più urgenti per migliorare la qualità (e
soprattutto i tempi) della nostra giustizia, tutto ciò si avvicina molto
alla battaglia provocata dal generale dei racconti di Padre Brown.
Si aprono infiniti problemi, a cominciare da quello di che cosa abbiano
fatti i giudici (in generale, e quelli di Milano in particolare) per
meritarsi una ostilità così appassionata; e dunque a cominciare dal loro
ruolo – allora esercitato col pieno appoggio della Lega di Bossi, del
Msi di Fini e del Pci (poi Pds) di Occhetto — nell'abbattimento del
sistema dei partiti della prima repubblica. Su questi rifletteranno gli
storici, quelli veri. Ma per quanto Berlusconi cerchi in tutti i modi di
legare la sua vicenda agli "eccessi giustizialisti" cui è
dovuto il crollo di Psi e Dc, all'intrusione dei giudici nella politica,
anche un bambino dovrebbe sapere che il caso in cui Berlusconi è oggi
coinvolto è molto più semplice e colla politica c'entra abbastanza poco:
si tratta di conoscere se Previti abbia o no corrotto alcuni giudici
romani al fine di ottenere un provvedimento favorevole agli interessi
privati del suo patrocinato. E proprio perché è un caso così semplice,
esso è così drammatico. Tolta la soluzione in cui Previti viene
giudicato dal suo giudice naturale e mandato assolto – soluzione che mi
auguro di tutto cuore — le altre due (Previti riesce ad evitare il
giudizio nei modi in cui sta cercando di evitarlo ora; oppure è giudicato
e condannato in primo grado) hanno conseguenze politiche e istituzionali
molto gravi.
Su quelle istituzionali rifletterà il Presidente della Repubblica. Quelle
politiche consistono nella riduzione del dibattito tra i due schieramenti
a rissa permanente, a richieste di impeachment e a catilinarie infuocate
da una parte (Quousque tandem, Berlusconi, …?), e a delicati coretti di
"comunisti, comunisti" dall'altra.
Non solo sulla giustizia, ma anche su argomenti da essa lontani, ogni
dialogo diventerà più difficile: come farà l'opposizione a cogliere gli
elementi di razionalità che sono contenuti persino nelle proposte
governative di riorganizzazione della funzione del Pubblico Ministero e
nelle esitazioni a firmare l'accordo sul mandato d'arresto internazionale,
se essa è convinta che si tratti di proposte ad hominem? E perché
concedere a Berlusconi il vantaggio di un'opposizione
"costruttiva" al di fuori dei problemi della giustizia, di cui
ci sarebbe un gran bisogno, quando si è profondamente persuasi che
l'interesse primario del paese sia quello di farlo cadere al più presto?
C'è una frase che ho sempre odiato: "quando il gioco si fa duro, i
duri cominciano a giocare". Probabilmente sono arrivati i tempi per i
"duri": brutti tempi.
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