Il benservito al
ministro degli Esteri Ruggiero (spiegato ieri a Montecitorio da Berlusconi)
riapre il dibattito su quali siano i poteri del capo dello Stato. È noto
che Ciampi aveva molto raccomandato la nomina di Ruggiero. Ne poteva
impedire il licenziamento? No, non lo poteva impedire. Può impedire,
però, una nuova nomina (dopo l’interim) a lui sgradita. Nel 1994
Berlusconi propose impudicamente al presidente Scalfaro la nomina di
Previti a ministro della Giustizia. Scalfaro disse no e Berlusconi dovette
smistare Previti alla Difesa. E il potere del Presidente di negare una
nomina non è mai stato messo in dubbio. L’esempio dimostra allora che
il potere di un capo dello Stato non è soltanto di moral suasion ,
in italiano di «persuasione» (morale o no). Se fosse sempre e soltanto
di persuasione sarebbe un potere «senza potere», un potere di
cartapesta. Il che non è. E’ vero che nei sistemi parlamentari il
Presidente non ha poteri di governo. Ma può intervenire in atti che
precedono il governare: come si è già visto, negli atti di nomina (ivi
includendo la designazione del presidente del Consiglio). Tutto lì? No.
Leggiamo la Costituzione.
L’articolo 87 dice che il presidente della Repubblica «autorizza la
presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del
governo», e che «promulga le leggi». E l’articolo 74 della
Costituzione stabilisce che «il presidente della Repubblica può, con un
messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione. Se le
Camere approvano successivamente la legge, questa deve essere
promulgata». In quest’ultimo caso, dunque, la promulgazione diventa, in
seconda istanza, un atto dovuto. Il che non toglie che un messaggio
dissenziente del capo dello Stato può mettere un governo in gravi
difficoltà. E negli altri due casi? Anche la promulgazione è un atto
dovuto (art. 73). Ma non lo è - la Costituzione non lo dice - l’autorizzazione
a presentare alle Camere i disegni di legge. In questa fase iniziale della
formazione delle leggi, se il Presidente non firma, non firma.
Beninteso, siamo in una zona di confine tra le prerogative del capo dello
Stato e le competenze del governo. Pertanto in questa zona la
discrezionalità del Presidente deve essere esercitata con circospezione,
nei limiti. Nel sistema parlamentare un capo dello Stato che nega la sua
firma deve avere importanti e gravi ragioni per negarla. Ciò concesso,
andrò a sostenere che queste gravi ragioni sussistono per il disegno di
legge Frattini sul conflitto di interessi che arriverà a Montecitorio il
21 gennaio.
Ho già spiegato in varie occasioni perché ritengo che la formula
escogitata da Frattini non risolva per niente il problema. Mi viene
obiettato che io mi oppongo perché sono antiberlusconiano. In verità io
mi oppongo (dirò tra poco) perché difendo - sin da quasi prima che
Berlusconi nascesse - lo Stato di diritto. Però siamo uno strano Paese.
Sembra che per gl’italiani il mondo si divida tutto tra berlusconiani e
antiberlusconiani, tra amici viscerali e nemici viscerali del Cavaliere.
Che assurdità! Tra questi due campi esiste l’universo di chi non è
schierato, di chi ragiona con la propria testa, di chi non ha interessi
personali in gioco. E le critiche che Frattini lascia senza risposta
provengono da questo universo.
Il problema acutizzato dalla sua finta soluzione frattiniana è
antichissimo. Risale a questo angoscioso interrogativo: quis custodiet
custodes ? Chi custodisce i custodi? Chi controlla il controllore?
Questo problema è stato risolto dallo Stato di diritto. Ma viene riaperto
da un Berlusconi che concentra in sé - per la prima volta nella storia di
tutte le democrazie - un «doppio potere» politico-economico che vanifica
il principio stesso della limitazione del potere.
Il presidente Ciampi ci fa sapere che nulla può fare. Ma non è così. Se
voleva, la legge Frattini la poteva bloccare in nascita. E se la avallerà
senza nemmeno dissociarsi con un messaggio, allora avrà mal garantito la
Costituzione della quale è garante.
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