«Ci furono
corruzione e abusi Oggi è caduto il senso etico»
Scalfaro: «Negli anni di Tangentopoli l’Italia rischiò
tumulti di piazza» «Berlusconi fa leggi per i suoi processi, neanche
Mussolini osò tanto»
Corriere
della sera 21 febbraio 2002
ROMA - Che cosa sono
stati per lei i giorni di Mani Pulite, presidente Scalfaro? Cosa le viene
in mente, oggi, se rievoca quei momenti? «Ha presente quando al cinema la
pellicola torna indietro?» Sì, le immagini in roll-back. «Beh, mi è
capitato qualcosa del genere nelle settimane scorse, con un brivido
retrospettivo, guardando alla tv le scene dei disordini in Argentina. E’
stato come squadernare un vecchio calendario e perdermi a pensare: ecco,
poteva capitare anche da noi, dieci anni fa. C’è stato un momento, in
Italia, in cui bastava un nulla perché l’umore popolare, la voglia di
ghigliottina che allora dilagava, scivolassero in tumulti di piazza.
Grazie a Dio ce l’abbiamo fatta senza che il sangue corresse per le
strade. La fase di massima crisi è stata superata, e la democrazia è
ancora viva, anche se non si può dire che siamo del tutto fuori dal
tunnel. Ci sono almeno due spie di malessere: una certa voglia di mettere
sotto controllo la magistratura e una generale caduta del senso etico».
Eletto sotto il tuono della bomba che uccideva a Capaci il giudice Falcone
e mentre da Milano l’inchiesta su Tangentopoli cominciava già a
irradiarsi nel Paese, il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro è un
testimone chiave della «rivoluzione italiana». Ha dettato i tempi della
politica quando la politica sembrava «ormai morta» (sentenza del Washington
Post ), e quando si era fatta una quasi completa tabula rasa dei
partiti. Ha difeso «a oltranza» la Costituzione, duellando con il
centrodestra ed essendo un conservatore di lungo corso. Da ex magistrato,
si è scontrato anche con qualche toga eccellente. Parlamentarista
convinto, ha però tenuto a battesimo tre governi tecnici, mentre le
Camere subivano un drammatico turnover dei loro membri e il sistema
tentava di emanciparsi. Ed è stato l’ultimo democristiano che sia
rimasto, fino a tre anni fa, in un posto di grande potere.
Presidente, lei si è ritrovato di colpo al Quirinale, nel maggio 1992,
sull’incombere di quella doppia emergenza. Ma ebbe il presentimento di
quanto sarebbe accaduto subito dopo?
«Non c’era bisogno d’essere profeti: che il bubbone dovesse scoppiare
era una cosa scontata. Io stesso avevo denunciato da anni la
"degenerazione" del sistema, intervenendo in modo molto critico
a vari congressi e riunioni della Dc. Ricordo che tornai sul tema anche
poco prima di quel voto del ’92, durante un’assemblea organizzativa
del partito: cominciava a spirare un’aria nuova, e fui applaudito. Nel
discorso d’insediamento da presidente, mantenni il punto e dissi che
"nessun maggiore pericolo vi è per la democrazia che l’intreccio
torbido tra politica e affari"».
Oggi quella stagione viene definita in modi contrapposti. E il Paese si
divide ancora tra l’idea che sia stata una «speranza tradita» o uno
strisciante «golpe dei comunisti».
«Restiamo con i piedi per terra e poniamoci una domanda: c’è stata o
no corruzione? Io rispondo: certamente sì, e questo è un dato di fatto.
Poi ci sono le interpretazioni, una delle quali pretenderebbe appunto di
leggere l’iniziativa giudiziaria come una manovra, supportata da umori
popolari istigati al giacobinismo. Tesi comprensibile per chi cerca di
difendersi, ma che non ha fondamento. Un bilancio corretto di Mani Pulite
l’ha tracciato di recente il giudice Gherardo Colombo, sul Corriere ,
e nessuno l’ha contestato: ha messo insieme tutta una serie di dati per
i quali è impossibile affermare che si trattò di una persecuzione».
Si obietta che le inchieste, mentre annichilivano i partiti di governo,
hanno largamente risparmiato il Pci.
«Non credo che la sinistra fosse senza peccato originale. Però è di una
logica elementare dire che chi deteneva il potere era indotto in
tentazione molto più di chi dal potere era escluso. Qualcuno avrebbe
potuto andare a vedere, eventualmente e se ce ne fossero stati i motivi,
come era stato esercitato il potere dalla sinistra sul piano locale, ma
sul piano nazionale...».
Che cosa hanno sbagliato i giudici?
«Ci sono stati abusi su più versanti. Dall’arresto facile, compiuto
magari per indurre l’imputato a parlare, alla rottura del segreto
istruttorio, per cui accadeva che i cittadini leggessero sui giornali di
essere chiamati in causa prima ancora d’aver ricevuto un avviso di
garanzia. Cose che ho denunciato più volte davanti al Csm, ammonendo che
era intollerabile che l’avviso di garanzia si fosse trasformato in una
fucilata alla schiena. Con il governo Amato sette ministri dovettero
dimettersi per questo».
Che cosa hanno sbagliato i politici? Qualcuno sostiene che Tangentopoli
avrebbe potuto, e dovuto, essere chiusa in due mesi. Politicamente.
«Penso che non sarebbe stato possibile, se non a certe condizioni. In
quei mesi, sforzandomi di interpretare l’ansia di giustizia della gente
(non la voglia di vendetta o l’urto della piazza), durante un incontro
con gli universitari di Pavia suggerii: coloro per i quali sia stato
accertato che si sono arricchiti personalmente, escano di scena dalla vita
politica e restituiscano il maltolto. Forse procedendo su quella linea si
sarebbe potuto cercare una soluzione generale, ma proprio allora il
governo preparò un decreto insultante, rispetto alla questione morale».
Il decreto che fu definito «salvaladri».
«Sì. Lessi i primi appunti del Consiglio dei ministri e vidi che vi si
prevedeva, per chi fosse stato giudicato colpevole, la sanzione di non
esser nominato sottosegretario o ministro per tre anni, o nei casi più
gravi per cinque. Chiamai Amato, e gli spiegai che era impensabile che io
facessi passare un simile provvedimento. Mi rispose: "L’ho scritto
io, avendo la pistola della maggioranza puntata alle spalle". I
vertici della coalizione, Dc e Psi in particolare, gli avevano posto un
ultimatum: o questo decreto o ti togliamo l’appoggio. Il premier dunque
non poteva neppure ritirarlo, altrimenti avrebbe dovuto dimettersi e
saremmo precipitati in una crisi dagli esiti imprevedibili, data la fase
che il Paese attraversava. Risolsi il problema io, con un’argomentazione
costituzionale, rifiutando la firma».
L’opinione pubblica aveva identificato i partiti come i maggiori
responsabili della corruzione, e la politica ne uscì umiliata. Ma fu
anche alterata la democrazia, come ora dice qualcuno nel governo, per «normalizzare»
la giustizia?
«Il male peggiore fu di condannare i partiti, e se ne soffre ancora oggi.
Per il resto, il fatto è che ci sono persone le quali, avendo procedure
pendenti, non vogliono essere processate e, disponendo di poteri dello
Stato, si muovono in modo da evitare i processi. Chi ha fatto votare una
legge che cancella il reato di falso in bilancio? Non è forse noto che il
premier avesse pendenze in tale materia? Si badi: neanche durante il
fascismo furono fatte leggi per chiudere processi contro Mussolini. Adesso
queste cose capitano, e pare che la maggioranza non ne avverta la
pesantezza morale. Anzi, passa il principio secondo il quale è
"indipendente" solo il magistrato che dà ragione a Palazzo
Chigi, che nel frattempo ha portato in Parlamento i suoi avvocati. E
succede che l’inquilino di quel palazzo si presenta ai vertici
internazionali e denuncia agli altri capi di governo: "Attenti, che
in tutt’Europa ci sono le toghe rosse". Una sortita penosa».
Insomma: il Nuovo che alla fine si è imposto, continua a preoccuparla. E
pure il nuovo clima del Paese, con troppa gente che lei descrive come
intorpidita moralmente.
«Il caso di Torino dimostra che la corruzione continua, e sempre con
contagio politico. Tuttavia io invito a mantenere pulizia mentale, senza
demonizzazioni ed essendo invece disponibili a giudicare buono ciò che
davvero lo è. Ma il desiderio di un Nuovo purchessia, con un’opinione
pubblica sempre meno incline a ragionare (anche se c’è qualche segno di
risveglio), può presentare dei pericoli per la vita democratica. Infatti
si rischia di non vedere tanti aspetti preoccupanti dei "lavori in
corso" di questo governo, a partire da come si risolverà una
questione che non dovrebbe ammettere compromessi, come il conflitto
d’interessi. Sono cose che maturano in certi retropensieri di fastidio
verso la democrazia, di desiderio di consenso assoluto, di volontà di
dominio, di compiacimento per l’assenza di dibattito... Questo vedo,
sulla scena italiana oggi. E questo temo».
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