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Come salvare la sanità umiliata
MARIO PIRANI
UNA norma di poche
righe, infilata nella Finanziaria, sfuggita a tutti in prima lettura, limita
la cosiddetta mobilità sanitaria, la possibilità, cioè, di farsi curare od
operare nelle strutture di una Regione diversa da quella di appartenenza. Ne
usufruiscono in misura circa un milione di pazienti l´anno che si spostano per
le loro esigenze cliniche dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Ne deriva un costo
aggiuntivo, sia perché le Asl di partenza, ultra indebitate, tardano
all´infinito nel rimborsare quelle di arrivo, sia perché le tariffe sono in
genere più alte che al Sud, sia, infine, per il mancato utilizzo delle strutture
meridionali.
La sanità umiliata
Ragionevole, quindi, porre un
freno? Lo sarebbe se le strutture sanitarie offrissero prestazioni grosso modo
analoghe in tutto il Paese, ma così non è. E di gran lunga. Ad esempio nelle
operazioni di tumore alla mammella, il metodo inventato da Umberto Veronesi, la
quadrantectomia, introdotto ormai in tutto il mondo per evitare, nella
stragrande maggioranza dei casi, interventi demolitivi e lunghe degenze, è
attuato solo nel 41% dei casi in Basilicata e nel 33% in Calabria, contro il 73%
in Val d´Aosta (ma a Parigi la percentuale è del 91% e a Boston del 93%, mentre
la media italiana è solo del 58%).
Se guardiamo alla prevenzione – essenziale per la diagnosi precoce e la
sopravvivenza in questa patologia – ci troviamo con verifiche ancor più
desolanti: si sottopongono alla mammografia una volta l´anno fra i 45 e i 69
anni, come indicato dai protocolli clinici, il 35% delle donne in Lombardia (ed
è già poco) contro il 2% in Sicilia!
Se passiamo ad una patologia maschile e prendiamo il caso del tumore alla
prostata, la sopravvivenza a cinque anni dall´operazione è del 34% in un
ospedale siciliano contro il 48% della media nazionale. La casistica non è
dissimile per le altre malattie gravi.
Dietro queste statistiche emergono le sofferenze, le ansie, le speranze di
guarigione di centinaia di migliaia di persone ma anche l´aggravio subìto da
tanti italiani, soprattutto meridionali, con l´introduzione di un federalismo
devastante che spezzetta il welfare, sollecita l´insorgere di egoismi regionali,
insidia l´eguaglianza dei cittadini. Gli squilibri e le ingiustizie sono state,
peraltro, aggravate dalle politiche fiscali del governo in carica ma alla loro
origine vi è lo storico e mai sanato divario tra Sud e Nord; così come, se la
devoluzione minaccia di distruggere ogni solidarietà sociale su scala nazionale,
il nefasto calcio d´inizio dello sfascio costituzionale è stato sferrato dal
centrosinistra con la riforma del Titolo V.
Più che meritorio appare,
quindi, l´indirizzo del documento «I
cittadini al centro della sanità» presentato come contributo al
programma di governo del centrosinistra dalla Fondazione Italianieuropei e
illustrato pubblicamente da Massimo D´Alema, Livia Turco e Ignazio Marino
dell´Università di Filadelfia. Con urgenza prioritaria viene richiesta
l´emanazione di nuove norme sul federalismo allo scopo di «fornire servizi
sanitari adeguati e omogenei in tutto il paese». Denunciato il degrado dei
servizi sanitari, peggiorati dopo l´introduzione del federalismo, il documento
sostiene la necessità che il governo centrale mantenga la gestione
macroeconomica della sanità e la garanzia delle prestazioni essenziali con la
possibilità di esercitare un potere sostitutivo rispetto alle amministrazioni
regionali inefficienti, altrimenti «libertà e autonomia mal amministrate si
possono rapidamente trasformare in disuguaglianza e nella sanità questo si
traduce in numero di vite salvate e in qualità di vita. « Il progetto (che gli
interessati possono reperire sul numero ultimo di «Italianieuropei») elenca una
serie di punti che qui posso solo adombrare (suddivisione tra ospedali e rete
sanitaria territoriale, basata sul rilancio, la valorizzazione e l´aiuto dei
medici di famiglia, anche attraverso studi associati forniti di apparecchiature
diagnostiche e di personale infermieristico, in grado di assistere i malati 24
ore su 24, giorni festivi compresi, così da decongestionare i pronto soccorso e
diminuire i ricoveri impropri; riorganizzazione e istituzione di fondi speciali
per l´assistenza agli anziani non autosufficienti, la cura delle malattie
mentali, le tossicodipendenze, le patologie rare). Un paragrafo specifico è
dedicato alle strade percorribili per «separare la gestione delle aziende
sanitarie dalla politica» e, in proposito, vengono esplicitamente ricordate le
proposte della nostra rubrica «Linea di confine». Non torno, quindi,
sull´argomento già ampiamente trattato su queste colonne anche se colpisce che
un documento con primi firmatari D´Alema e la Turco debba ammettere che in
proposito «non esprime una posizione condivisa da tutti». Se i dirigenti
nazionali del più importante partito riformista non riescono ad imporre ai
propri quadri regionali coerenti misure contro la lottizzazione le speranze di
una svolta seria che differenzi, su un piano immediatamente percepibile
dall´opinione pubblica, un governo di centrosinistra da quello Berlusconi
appaiono davvero scarse.
Per il resto lo schema di «Idee per la sanità» è ricco di spunti importanti. Vi
è, però, il pericolo che resti un documento di buone intenzioni se non si
coniuga ad alcune poche e chiare scelte, che comportano tutte, al pari delle
misure contro la lottizzazione, la consapevolezza dichiarata apertamente, delle
alternative politiche, niente affatto pacifiche, che pongono. Se non si è
disposti ad affrontarle meglio lasciar perdere. Al centro vi è la questione dei
soldi. Senza dei quali i progetti restano sulla carta.
Ora, per quanto riguarda la sanità, l´Italia è in coda a quasi tutti gli altri
partner europei sia come spesa pro capite sia come percentuale sul pil.
Si possono introdurre alcune razionalizzazioni per meglio equilibrare i bilanci
ma non certo procedere a tagli per reperire gli investimenti necessari per
grandi progetti come un Fondo per gli anziani disabili, lo sviluppo qualitativo
delle strutture del Mezzogiorno, la messa in piedi di una efficiente rete
territoriale per le cure a domicilio o il rilancio della prevenzione. Dunque è
indispensabile aumentare le entrate sia smettendola con la criminalizzazione
demagogica dei ticket che una parte non piccola della popolazione può benissimo
pagare, sia reintroducendo una imposta finalizzata a ben precisi impegni (ad
esempio in Germania il Fondo che permette l´accudimento degli anziani disabili è
finanziato dall´abolizione di due festività all´anno), sia affrontando con
determinazione il nodo dell´età pensionabile, al di là di quanto già stabilito.
Proprio in queste settimane in Germania la coalizione Cdu-Spd si è accordata per
aumentarla progressivamente a 67 anni. Analoga soglia è allo studio in
Inghilterra, mentre in Spagna sono state avanzate proposte per incentivare la
permanenza al lavoro fino a 70 anni. Da noi quando Berlusconi con una infelice
battuta ha sostenuto una cosa giusta (talvolta capita anche a lui) e, cioè, di
innalzare la soglia a 68 anni, subito si è beccato la reprimenda dei tre
segretari confederali.
Eppure, che senso ha difendere gli anziani in veste di pensionati e abbandonarli
alle famiglie o all´ospizio negli anni in cui hanno più bisogno di assistenza
continua, di cure costose che l´Asl oggi non passa, di supporti riabilitativi
proibitivi? Se si riflettesse sul fatto che il 40% della spesa sanitaria e metà
di quella ospedaliera è assorbita dalla popolazione sopra i 65 anni si dovrebbe
convenire sull´assurdità di avere l´incidenza sul pil per la previdenza la più
alta d´Europa (circa il 13%) mentre quella per la sanità pubblica è tra le più
basse (circa il 6%). Diminuire l´incidenza pensionistica e aumentare in
corrispettivo quella sanitaria rappresenterebbe, quindi, una scelta riformista
razionale e giusta. Per contro non è né razionale né giusto e neppure
coerentemente riformista proporre programmi senza copertura.
Un altro tema che il documento ds sfiora soltanto è quello della cosiddetta
aziendalizzazione, una di quelle parole introdotte con l´usbergo della
razionalizzazione dei servizi ma che è servita a falsarne i fini (del resto non
è lo stesso con la spuria dizione di «azienda Italia», o quella di
premier-manager?). Bisogna tornare a ribadire che una Asl o un ospedale non sono
una fabbrica di elettrodomestici ma un servizio pubblico destinato alla cura dei
pazienti. Gli attivi o i passivi di bilancio, su cui apparentemente vengono
misurati i manager della sanità, possono nascondere gravi storture: per esempio
chiudere posti letto e reparti non particolarmente remunerativi laddove il
rimborso è a prestazione (secondo la tipologia della malattia), mentre nelle Asl
dove vige la quota capitaria (una somma per ogni cittadino residente nell´area)
meno si lavora e meglio è, perché si iscrive all´attivo quanto si risparmia
sulla cifra globale. Sul piano della responsabilità clinica l´aziendalizzazione
sollecita poi comportamenti aberranti. Così in alcuni settori – soprattutto
chirurgici o cardiologici – al primario viene richiesto un tot prefissato di
operazioni all´anno.
Avviene, quindi, che i meno scrupolosi intervengano su pazienti che non ne
avrebbero alcun bisogno. Non è un caso, per fare un altro esempio, che i parti
in Italia siano ormai quasi esclusivamente cesarei. Costano di più, implicano
una degenza più lunga, sono spesso inutili e non di rado hanno conseguenze
sgradite.
Liberarsi della aziendalizzazione e tornare a un concetto etico di servizio
pubblico, che non vuol dire spreco e disordine ma responsabilità
consapevole, è quindi condizione per una sana svolta riformista. Possibile, ma
se, anche in questo caso, si è disposti a correre una sfida politica. Dietro lo
slogan aziendalista si profila, infatti, la mano pesante della politica.
Assessori e governatori scelgono persone di provata fedeltà (in base alle quote
spartitorie della coalizione vincente), li battezzano col nome di manager,
delegano loro le nomine di primarie e primarietti ma li tengono sotto scacco se
deviano dalla retta via.
È veramente un miracolo di buona volontà, di capacità complessiva e di dedizione
del personale sanitario se, in queste condizioni e con mezzi minori, la sanità
sia in Italia mediamente buona e comparabile nelle regioni più avanzate a quella
degli altri paesi dell´Europa occidentale. Malgrado tutto negli ospedali le cose
vanno decisamente meglio che nelle aule scolastiche o nei tribunali o in tante
amministrazioni pubbliche della Penisola. Nel nostro paese è possibile
effettuare un trapianto di cuore o un bypass aorto-coronarico in tempi
ragionevoli e senza spendere una lira. Se hai un malore a New York la prima cosa
che ti chiedono è la tessera assicurativa o la carta di credito, non certo come
ti senti. Il primo centro sinistra degli anni Sessanta e Settanta introdusse il
Servizio sanitario nazionale. Al centrosinistra dei giorni nostri, che già
largamente lo gestisce su scala regionale, spetta rilanciare, se andrà al
governo, questo patrimonio straordinario del riformismo, un pilastro
fondamentale per garantire non solo la salute ma l´eguaglianza dei cittadini,
siano essi siciliani o lombardi.