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The Necks
Album a cura di Paolo Ferrario, Italia
Toni Buck, Batteria Lloyd Swanton, Contrabbasso Chris Abrahams, Piano
The Necks: Official Homepage
La musica che ho sempre cercato e che, nel gennaio 2006 ho finalmente trovato. Come i tesori delle terre sconosciute.
Nella storia del Jazz spesso si legge che, nei momenti di svolta, gli appassionati ascoltatori dicevano "c'è uno che suona in modo nuovo" e correvano a sentirlo. E' avvenuto per Louis Armstrong, che con West End Blues (1929) innovava nel Jazz di New Orleans. E ancora con le orchestre di Duke Ellington. Poi con il Bebop di Charlie Parker. Con The Birth of Cool di Miles Davis. E ancora con Olè di Coltrane. E ancora con il Jazz nordico di Garbarek. Ma sono molte le svolte.
Ci sono vari modi, non incompatibili, per suonare il Jazz: quello degli Standard (e si può farlo in modo mirabile come il Trio di Keith Jarrett), quello della tradizione (come continua a fare con encomiabile coerenza Winton Marsalis), quello della rielaborazione del Pop (in Italia ricordo Danilo Rea e i Doctor 3). E ancora altri.
Ma oggi la nuova frontiera la stanno percorrendo i Necks, un gruppo australiano che lavora da 15 anni e che persegue con ammirevole coerenza un progetto musicale unico. Di loro si dice:
"Entirely new and entirely now. They produce a post-jazz, post-rock, post-everything sonic experience that has few parallels or rivals" (da The Guardian)
I Necks hanno qualche precursore, ma pochi imitatori. Il loro è Jazz minimale, è Post-Jazz, è Post-Tutto, come di loro dice Geoff Dyer.
Certo sembra stupefacente che è dall'Australia che arrivino questi esploratori psichici della musica Jazz. Ma pensando A Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir non è poi così strano.
Forse gli australiani sanno mettere bene assieme modernità, ambiente incontaminato e sogno.
Recensioni |
Gennaro Fucile, Strani attrattori: i The Necks, in Quaderni d'altri tempi Olindo Fortino, Silent Night, in Blow Up n. 116, 2008 La gatta Miciù ascolta i The Necks e sogna nel suo paradiso celeste |
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